Siamo tutti pensionati

Tristezza e senso di vuoto. Stiamo provando a valutare il danno psicologico che ha avuto su milioni di pensionati lo slittamento dell’assegno di gennaio da parte dell’Inps.

Tristezza perché chi percepisce 500 euro con i quali deve far fronte a problemi non soltanto suoi (in questi anni una parte del welfare è stato integrato dai sacrifici dei nonni) si è sentito abbandonato. Senso di vuoto perché in questa stagione di grande incertezza - e di grandi discorsi a reti unificate - lo Stato ha il dovere di rassicurare, di trasmettere fiducia. E invece, per colpa del calendario e del solito cavillo legislativo, ha scambiato il cittadino per un suddito, il contribuente per un salariato a vita al quale concedere con condiscendenza ciò che in realtà gli spetta di diritto.

In fondo a questi giorni di polemica riteniamo che il danno sia un’ulteriore erosione della fiducia. A conferma che mille discorsi non valgono il calore di un piccolo gesto. È vero che il primo gennaio era festa, che il due era sabato e il tre domenica. Ed è vero anche che la legge non poteva prevedere l’erogazione il quattro (nel decreto si parla di secondo giorno utile del mese), ma il cinque. È altrettanto vero che il pensionato medio, notando questo fantasmagorico salto della quaglia, si è sentito preso in giro. Ce ne facciamo tutti una ragione, probabilmente nessuno ha intenzione di erigere barricate per questo. Ma per chi ha chiuso l’anno scoprendo che l’evasione ammonta a 122 miliardi (e non evade un euro); per chi è corso a verificare se il bancario sotto casa gli aveva fatto comprare obbligazioni subordinate (senza saperlo); per chi riceve poco dopo avere dato tanto, questi cinque giorni devono essere sembrati un’eternità. Oggi, a torto o a ragione, il cuore ha il sopravvento. E siamo tutti pensionati.

© RIPRODUZIONE RISERVATA