Silenzio d’Asia

Condannata a morte perché cristiana e da sette anni rinchiusa in un carcere pakistano in attesa dell’esecuzione. Lei non si è stancata di aspettare, nel frattempo ha perdonato chi l’aveva accusata di blasfemia e vorrebbe tornare dalla sua famiglia, che abita a sei ore di macchina dalla prigione.

Si sono invece stancati (di attendere) alcuni gruppi fondamentalisti islamici, che per tre giorni hanno organizzato manifestazioni davanti al Parlamento di Islamabad per chiedere un’accelerazione significativa dell’esecuzione. Nell’ottica di non perdere tempo, l’imam di Peshawar ha messo a disposizione del denaro per chi riuscirà a ucciderla in carcere. Così la prigioniera non esce dalla cella e teme di essere avvelenata.

Ogni tanto è bene ricordare la storia di Asia Bibi, contadina stagionale che un giorno del 2009, mentre raccoglieva bacche, fu incaricata dal responsabile del podere di andare alla fonte a fare rifornimento di acqua. Le compagne musulmane le impedirono di toccare il recipiente in quanto cristiana, quindi impura. E alla sua reazione la accusarono di blasfemia. Tutto qui, lei rischia l’impiccagione. L’appello di Papa Benedetto nel 2010 fu inascoltato e l’ex governatore del Punjab che osò andare a trovarla in carcere fu assassinato da una guardia del corpo.

Purtroppo per lei, nel Pakistan radicale Asia Bibi non è più un essere umano, ma un simbolo. Il simbolo di una religione minoritaria, da schiacciare. Meriterebbe un movimento d’opinione, una fiaccolata, un concerto con meravigliose cantanti donne (Mannoia, Pausini, Giorgia) sul palco mano nella mano. O almeno un like. E invece niente.

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