Due insidie per Renzi
oltre le trivelle

Le vittorie elettorali hanno sempre molti padri, le sconfitte restano al contrario in genere orfane. Non è questione di vigliaccheria. In politica non vale la morale comune. Semplicemente, il problema sta nell’ammettere lo scacco elettorale. Per una dirigenza politica ciò significa fare più o meno karakiri. Qualsiasi giustificazione, forzatamente di comodo, è perciò meglio di nulla. Ora si invocano le condizioni della lotta, giudicate troppo penalizzanti. Ora i tempi e i modi proibitivi, che hanno reso impossibile far conoscere agli elettori le proprie ragioni.

A scrutinio chiuso poi, ci si compiace di regola, comunque, per il consenso raccolto, rivelato (ma solo a posteriori) al di sopra delle aspettative nutrite alla vigilia. Tutto questo per non ammettere la sconfitta subita che sta invece nei numeri. Questi si potranno anche pesare, ma innanzitutto si devono contare. Ebbene, nel nostro caso il verdetto è inequivocabile. Il quasi 70% delle astensioni non darà ragione a Renzi, ma dà sicuramente torto ai fautori dell’abrogazione della norma favorevole alle trivelle. Non solo, scongiura anche (per il momento) la spallata che le opposizioni intensamente volevano infliggere allo spavaldo giovane di Rignano.

D’accordo, la sua è stata una vittoria facile. Un quesito tecnicamente complesso, una questione politicamente opinabile, un pericolo per il posto di lavoro di migliaia di tecnici, uno sgambetto al settore della nostra economia (la ricerca e l’estrazione di petrolio e gas) di cui meniamo vanto nel mondo, da ultimo una votazione soffocata in una sola giornata, sganciata da un’altra concomitante tornata elettorale che poteva fungere da traino. La vittoria comunque resta, ma - questo Renzi non lo può sottovalutare - il mancato raggiungimento del quorum, se gli ha scongiurato un passo falso imbarazzante, gli ha anche scoperchiato un cammino irto di problemi e di pericoli.

Il referendum sventato è solo uno, e non il più difficile, dei tre cerchi di fuoco che il segretario dem è chiamato ad attraversare in meno di sei mesi. Tra poche settimane lo aspetta la prova delle amministrative, improba. A settembre dovrà poi camminare sui carboni ardenti della riforma costituzionale. Nel qual caso non potrà più contare sulla corposa quota di coloro che ormai si astengono dal voto a prescindere. Al fronte delle opposizioni, forti - come s’è visto - di un 30% tondo tondo, dovrà opporre un’armata di sostenitori di altrettanta, anzi maggiore, consistenza. Una partita inoltre tutta giocata su un quesito, come il ridisegno dell’assetto istituzionale, non meno ostico di quello delle concessioni petrolifere, non propriamente adatto ad infiammare gli animi degli italiani e che di conseguenza non è detto vedrà masse di elettori correre alle urne, smaniosi di adempiere al loro dovere civico di votare. Se poi, come si teme, si gonfierà l’allarme profughi e la congiuntura economica non si risolleverà, per Renzi sarà un autunno caldo, forse incendiario.

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