Monsignor Oscar Romero
martire e pastore fra i campesinos

«Già Benedetto XVI, poco prima di dimettersi, aveva disposto che il processo di beatificazione di monsignor Oscar Romero andasse avanti secondo la prassi, dopo che per anni la Congregazione per la dottrina della fede aveva esaminato l’ortodossia dei testi e discorsi di Romero. Così era avvenuto perché c’era chi dubitava della sua ortodossia e il fatto che Romero fosse divenuto un simbolo della sinistra e della rivoluzione, ciò che in realtà non corrispondeva alla sua persona, non aiutava a presentarlo come lui stesso diceva di essere, cioè un pastore. Poi, certo, Papa Francesco con la sua conoscenza diretta dell’America Latina e la sua stima per Romero ha creato un clima di forte valorizzazione della sua figura».

Lo storico Andrea Riccardi commenta la beatificazione di monsignor Oscar Arnulfo Romero (1917-1980) che avrà luogo oggi a San Salvador, capitale dello Stato di El Salvador. «Il vescovo dei poveri» assassinato nel 1980 salirà agli onori degli altari dopo il lungo e travagliato corso della causa di canonizzazione.

«Il pensiero teologico di Mons. Romero era uguale a quello di Paolo VI definito nell’esortazione Evangelii Nuntiandi», ha dichiarato monsignor Vincenzo Paglia, Postulatore della causa dell’Arcivescovo salvadoregno. «La posizione di Romero, che chiedeva giustizia e pace per il suo Paese, era motivata da una scelta evangelica per i poveri», chiarisce Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, nato a Roma nel 1950, ordinario di Storia contemporanea presso la Terza Università di Roma. Con un decreto firmato lo scorso 3 febbraio, Papa Francesco ha riconosciuto il martirio del «vescovo dei poveri», perché assassinato a San Salvador il 24 marzo 1980 «in odium fidei», «in odio alla fede».

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