Bergamo
2 sfide per il 2015

L’Expo e un salto di qualità nell’istruzione sono le due scommesse di Bergamo nel 2015. Entriamo nel settimo anno della Grande Crisi e in questo tornante nevralgico la voglia di riscatto prevale sul ripiegamento.

Nonostante i numeri negativi dell’economia, abbiamo pur sempre le eccellenze su cui contare (università, aeroporto, nuovo ospedale), la riserva strategica dell’orgoglio e ragionevoli motivi di speranza: il prossimo appuntamento è con l’economia della conoscenza, e qui bisogna essere veloci perché il treno sta passando. Anche per la Bergamasca agganciarsi al carro dell’Expo, che vale un punto di Pil o forse più, equivale ad una sorta di ultima spiaggia: o si conquista il rilancio in questa fase, e dunque la crescita, oppure andranno ripensati i fondamentali.

L’occasione è irripetibile, anche per qualche autocritica. Già si poteva far meglio (s’è persa la possibilità di inserire il Kilometro Rosso come punto di riferimento dell’impiantistica agroalimentare), però i nostri cantieri marciano bene: la Camera di commercio ha acquisito uno spazio per 6 mesi per le attività promozionali e potremo lavorare in coppia con i cinesi, dato che uno dei loro tre padiglioni potrebbe far capo a Bergamo (ben rappresentata dalla bellissima foto di Jin Pinyu che pubblichiamo).

. La porta d’ingresso di Orio: A Orio sbarcheranno turisti e denaro. I numeri della recessione sono tristemente noti e val la pena ricollocarli nella prospettiva della gestione dei processi. Alle spalle ci siamo lasciati il picco peggiore raggiunto nel 2012-2013. È vero che la nostra piccola Baviera sta meno peggio di altre aree, tuttavia colpiscono i dati sconosciuti in una terra che era di piena occupazione. Una frustata. Dal 2009 la disoccupazione è raddoppiata (dal 4% all’8%), scaricandosi sui giovani: la quota all’incirca è la metà del dato nazionale, ma è pur sempre passata dal 9% al 25%. Le ore autorizzate di cassa integrazione sono schizzate a 30 milioni.

Eppure, ricordando che l’edilizia è sempre in rianimazione e che intanto la media manifattura global dà alcuni segnali di rafforzamento, qualcosa si sta muovendo sopra e sotto la superficie di una società che rimane sostanzialmente coesa. La vecchia Val Seriana, che era stata colpita nei settori più vitali (la filiera del tessile), sta reagendo meglio del previsto con il suo talento imprenditoriale: il tessile che tiene, anche come realtà internazionale, è ancora lì. Questa valle si sta rilanciando meglio della pianura che, pur avendo beneficiato di grossi investimenti, fatica a capitalizzarli e non fornisce indizi nuovi.

Bisogna forse aspettare ancora un po’ quando, in tema di Brebemi, a marzo sarà aperta la tangenziale est di Milano e quindi la direttissima avrà più possibilità espansive. Non vanno bene, invece, la Val Brembana e alcune zone dell’Isola. Il punto di svolta, in ogni caso, è stato annunciato nei giorni scorsi dalla Giunta Gori ed è rappresentato dal piano d’insediamento in città per nuove attività innovative o creative. Non sapremmo dire se questo è il cambio di passo promesso dal sindaco Giorgio Gori, tuttavia è la prima spallata di questo genere: sono dimezzati gli oneri di urbanizzazione, scendono i costi insediativi, viene tolta l’Imu nella componente comunale, sono consentiti interventi singoli e si semplifica l’iter amministrativo.

Il Comune torna centrale: Non sfugge il senso politico dell’intervento, che ridà centralità al Comune sulla produzione: rinuncia agli introiti in cambio dell’arrivo di start up e fabbriche innovative in città. In parallelo bisognerebbe metter mano ai volumi smisurati delle aree dismesse in città con una normativa che favorisca l’utilizzo a pezzi dei terreni, istituendo una Borsa dei volumi della capacità edificativa. Per un’edilizia che non si risveglia, bisognerà valutare l’impatto, dopo gennaio, del progetto per il risparmio energetico negli edifici pubblici (oltre un milione e 250 mila euro finanziati dall’Unione europea) che, inizialmente pensato per 120 Comuni, di fatto riguarda quasi tutta la provincia e il capoluogo. Speriamo che sia una boccata d’ossigeno.

La Provincia naviga al buio: Quanto alla Provincia, come ente, si naviga al buio ed è una faccenda intricata visto che gestisce circa 200 deleghe: alla riduzione dei trasferimenti da Roma si sommano la confusione istituzionale e normativa e la perdita di status. L’interlocuzione con le realtà associative e con i corpi intermedi s’indebolisce e ancora, nel ridisegno dei rapporti territoriali, non è chiaro l’indirizzo strategico della città. Se i fatti impongono un’area omogenea della Grande Bergamo fatta di 300 mila abitanti, è difficile pensare ad un ruolo monopolistico del capoluogo in provincia. Questo rimane uno dei temi forti del dibattito, tanto più che il secondo rapporto Ocse commissionato dalla Camera di Commercio, in arrivo a gennaio, si spinge in avanti fino a disegnare un’area cittadina che interferisce su quasi tutto il territorio provinciale.

C’è poi un pezzo consistente dell’establishment bergamasco, la Camera di Commercio, che entra in una nuova fase. Il presidente, Paolo Malvestiti, allo stato potrebbe essere riconfermato ma, in base alla nuova legge, l’ente (bilancio di 26 milioni di euro e 6 milioni di costi di struttura) nei prossimi due anni perderà il 50% di entrate: se nel 2014 sono stati riversati 13 milioni di euro al sistema imprese, la dotazione scenderà a 6 milioni più due utilizzando le riserve.

Camera di Commercio, che ruolo?: Ma il vero nodo, oltre al numero e alla rappresentanza dei componenti la Giunta, è un altro e riguarda come la Camera di Commercio può intervenire al meglio sull’economia: una serie di piccoli interventi a pioggia, o poche azioni ma mirate e massicce? In sostanza: contributi o investimenti? Nel 2015 dovremo parlare, poi, di un tema che va restituito alla sua centralità: l’istruzione.

Sappiamo che la Bergamasca ha recuperato in quantità e qualità la distanza rispetto alla media lombarda e nazionale, ma rimane un percorso ancora da ultimare in tempi di economia della conoscenza e di smart city. Su questo terreno si consuma la partita decisiva e ci giochiamo la salvezza. La modernizzazione va colta adesso per almeno due motivi. Primo: l’università, che sta raccogliendo i frutti di una lunga semina, ha oggi tutti i numeri per guidare questo processo e da tempo è un laboratorio di idee per lo sviluppo del territorio. Secondo: il clima è mutato, oggi si avverte l’urgenza di puntare sulla conoscenza, sul sapere tecnico diffuso.

Il peso dell’Università: Questo significa che se l’Esperia è stata funzionale al distretto industriale Bergamo, l’università riveste questa funzione per la Bergamo che verrà ma che va rimodellata sin da ora. Il tema dell’istruzione deve irrompere nel dibattito pubblico, anche perché dal già citato rapporto Ocse ci arriva una pesante strigliata sul versante del sistema educativo. Lo studio afferma che il livello d’istruzione di chi lavora è inferiore a quello dei Paesi più sviluppati e questo esito non lusinghiero va probabilmente spiegato per capire qual è stata la nostra filosofia e le linee guida degli analisti internazionali.

L’Ocse, infatti, misura i titoli di studio e indica nell’istruzione il prerequisito per lavorare: innalzare la scolarità, senza dimenticare di essere rapidamente produttivi. Bergamo ha una logica diversa, perché finora ha curato l’occupabilità, ossia privilegiare la scuola che dà lavoro. Comunque la si voglia vedere (anche se probabilmente si tratta di trovare il giusto mezzo fra le due alternative), la questione merita di essere approfondita. Così come tutta l’area dell’istruzione professionale. Risultati discreti li stanno avendo i corsi di Confindustria (due anni di specializzazione in fabbrica e sui banchi al termine di scuole come l’Esperia), mentre buone nuove non vengono dai servizi al lavoro, cioè dai centri per l’impiego.

I Centri per l’impiego: Attualmente sono in una fase di stand by e avrebbero bisogno di essere rinnovati: il loro ruolo pratico di sostegno alle politiche attive del lavoro è insufficiente, perché ricalcano il presidio burocratico dei vecchi uffici di collocamento. Manca pure, almeno a parere dei sindacati, una visione strategica dei Centri Abf (Azienda bergamasca formazione) della Provincia, ritenuti distanti dalla evoluzione dell’economia e privi di un coinvolgimento diretto delle parti sociali.

Come si vede, la Grande Crisi, con le sue ricadute dolorose, aggiorna il corredo della modernizzazione nel gioco di vecchi problemi e nuove opportunità e ponendo Bergamo sulla frontiera europea. Dove finalmente s’è capito che la cultura è un moltiplicatore del capitale sociale.

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