Diamanti, il gioiello luccica
con qualche anno di ritardo

Febbraio 2004, campo Falco di Albino. È un mercoledì e l'AlbinoLeffe targato Gustinetti ha da poco concluso l'allenamento. I giocatori escono e vanno a lavarsi gli scarpini infangati, prima di rientrare nello spogliatoio e infilarsi sotto le docce. Nella partitella su un campo appesantito come una risaia, Alessandro Diamanti ha regalato numeri d'alta scuola: accelerazioni, dribbling, passaggi, tiri, gol, uno spettacolo insomma.

«Bravo, hai fatto un partitone», gli diciamo incrociandolo. Lui non si scompone: «Al mercoledì sempre. Quando non conta, io sono sempre il migliore in campo», replica accompagnando la battuta con una gran risata. Una risposta che riassume in modo emblematico il Diamanti di quei tempi, poco più che ventenne: uno che giocava per divertirsi, senza rendersi conto che in quei piedi e in quel cervello c'era tutto, ma proprio tutto, per abbracciare una carriera di livello.

Faceva quello che gli piaceva e gli riusciva facile, ma niente di più. Scapolo e stravagante, divideva l'appartamento con un coniglio arancione di nome Bennino, un po' come la gallina di Meroni. Anche per questo, dopo un anno e mezzo all'AlbinoLeffe - dall'estate del 2004 al gennaio 2006 - il ragazzo era stato rispedito al mittente, destinazione Prato, serie C2: bravo ma inaffidabile, questo il giudizio, che era sembrato una sentenza.

All'AlbinoLeffe aveva accumulato in quella stagione 18 presenze, una sola di 90 minuti, le altre tutti spezzoni. Eppure abbiamo ancora negli occhi il secondo tempo con la Ternana, quando lui nelle vesti di assist-man e Rantier goleador fecero vedere numeri dell'altro mondo: doppietta del francesino su inviti al diamante, il tutto nel contesto di 45' scintillanti.

«Diamanti e Rantier sembrano gemelli nati dalla stessa placenta», avevamo scritto a botta calda, ammirati davanti a tanta bellezza. Poteva essere l'inizio di una storia nuova, ma la settimana dopo Diamanti era già tornato quello di prima: bravo soltanto il mercoledì.

Tornato là da dov'era venuto, due stagioni fuori dai riflettori lo avevano fatto sparire dai radar. Sembrava l'avvio di un anonimo crepuscolo e invece un vecchio amico e compagno di bisbocce, Fabio Galante, gli cambia la vita. Da così a così. Galante gioca nel Livorno e lo segnala al presidente Spinelli: lo prenda, è matto ma ha numeri eccezionali.

In maglia amaranto il ragazzo si trasforma. Capisce che il calcio gli può dare ancora tanto, a patto che lui dia qualcosa al calcio. Anzi, una cosa soltanto: professionalità. Nel frattempo si è sposato, è diventato papà due volte, la vita lo ha responsabilizzato. Due campionati al Livorno - uno di A, uno di B - lo fanno decollare.

Lo vuole il West Ham di Zola. Lui ci va e firma una stagione positiva. Il dirigente Gianluca Nani lo convince a tornare in Italia e lo porta con sé al Brescia. Il seguito è cronaca: il gol alla Juve, col ct azzurro Prandelli interessato spettatore, è la firma sotto un pezzo d'apertura. Del resto, è un mercoledì, il suo giorno no?
Ildo Serantoni

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