Cristiano Doni: «Un'ingiustizia»
E annuncia ricorso «a oltranza»

«Ingiustizia». Il giorno dopo la pesante sentenza Cristiano Doni non riesce a tacere. Il processo è ancora in corso, ma il capitano dell'Atalanta vuole mandare un messaggio ai bergamaschi. Annuncia ricorsi «a qualsiasi grado di giudizio».

«Ingiustizia». Il giorno dopo Cristiano Doni non riesce a tacere. Il processo è ancora in corso, ma il capitano dell'Atalanta vuole mandare un messaggio ai bergamaschi. Da qui l'idea di una lettera-comunicato, concordata con il suo legale, l'avvocato Salvatore Pino, e dopo due mesi di silenzio la decisione di rilasciare un'intervista.

Succede dopo tutta una giornata trascorsa in giro con Manfredini a preparare e consegnare documenti per il ricorso in appello.

Perché, ovviamente, non è finita qui.
«Lo credo bene - comincia Doni -: non è finita qui. Non abbiate dubbi. Credo nella giustizia sportiva quindi credo che alla Corte di giustizia federale riusciremo a fare valere le nostre ragioni».

Ma se la sentenza di primo grado fosse confermata?
«Andrò avanti, facendo ricorso a qualsiasi grado di giudizio. A qualsiasi sede di giudizio nazionale e internazionale. È una questione di dignità».

Di dignità?
«In questo momento io vivo con l'imbarazzo di uscire di casa, di incontrare qualcuno fra la mia gente, un bergamasco qualsiasi che mi possa dire qualcosa. Che dubiti di me. È incredibile, questa situazione non la posso accettare. Per questo mi difenderò con tutti gli strumenti possibili».

Diceva della fiducia nella Corte di giustizia.
«Perché non dovrei averne. Io, noi, vorremmo giustizia. E questa sentenza non è giustizia. Chi ha sbagliato deve pagare e anche duramente. Ma noi non abbiamo fatto niente. Manfredini è stato coinvolto da un giocatore che ama definirsi "il primo pentito del calcio italiano", un personaggio che ha detto qualsiasi cosa pur di salvarsi. E lo hanno giudicato più credibile di un innocente che con tutta questa storia non c'entra niente».

Lei invece c'entra?
«Bella battuta. Io non ho fatto niente. Ero solo amico di Santoni. Nient'altro. Santoni ha ammesso di aver millantato, io non conosco nessun'altra delle persone coinvolte in questa vicenda. E non sono mai intercettato. Dov'è la colpa?».

E quei soldi di Santoni finiti a Parlato?
«Non ne conosco l'origine. Non ho dato soldi a nessuno né per scommettere né per comprare partite. Secondo voi giochiamo in casa con il Piacenza e io dovrei comprare la partita? La partita sulla carta meno difficile di tutto il campionato? E tra l'altro due giorni prima avevano operato mio padre all'intestino. Secondo voi avevo in testa queste follie? Fatemi capire…».

Eppure il giudizio di primo grado l'ha definita "principale referente per la combine".
«Ecco, io capisco che non c'è l'obbligo delle prove schiaccianti nella giustizia sportiva, ma dove sono anche i minimi riscontri? Letta la sentenza ci siamo sentiti impotenti».

Impotenti?
«La difesa ha fatto chiaramente capire che erano solo calunnie. E ringrazio l'avvocato Pino per il grande lavoro che ha fatto. Ma i giudici hanno tenuto conto solo dell'interpretazione dell'accusa. Condannandoci senza prove».

Adesso come andrà?
«La sensazione è che per ora si sia trattato di un processo mediatico e questo ha turbato gli equilibri. Ci auguriamo che adesso si vada a un bilanciamento delle parti».

Avrà un timore…
«Certamente quello che si voglia dare una punizione esemplare, in modo da dare l'esempio a tutti. Ma io mi auguro che prevalga la giustizia esemplare, altrimenti che giustizia è?».

Ha già ripreso ad allenarsi?
«È dura, è davvero dura. Guardo il campo e mi dico: non è possibile».

Pietro Serina

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Documenti allegati
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