Francesco Colucci romano de Roma
«Ma sono innamorato dell'Atalanta»

Davvero, il tifo è come l'amore: imprevedibile, irrazionale e irriducibile a qualsiasi stereotipo. Mentre la domenica capitolina si regalava un tramonto di dorata dolcezza, infatti, Francesco Colucci con entusiasmo sciorinava nel salotto di casa i cimeli della sua passione atalantina.

Davvero, il tifo è come l'amore: imprevedibile, irrazionale e irriducibile a qualsiasi stereotipo. Mentre la domenica capitolina si regalava un tramonto di dorata dolcezza, infatti, Francesco Colucci con entusiasmo sciorinava nel salotto di casa i cimeli della sua passione atalantina (biglietti di antiche partite, ricevute di abbonamenti lontani e mai interrotti al nostro giornale, foto autografate di giocatori anche secondari).

A demolire il luogo comune che vuole il tifoso nerazzurro autoctono e un po' rozzo, aveva iniziato prima, in un ristorante di via Bosio, a due passi dall'ultima dimora di Luigi Pirandello, raccontando delle sue partite della vita: lui, nerazzurro da sempre, è «romano de Roma» («la bella vittoria sulla Lazio mi sta regalando una settimana da trionfatore»), è cresciuto in una famiglia dove l'eccellenza culturale è di casa (papà ordinario di Lingua e Letteratura Russa alla Sapienza, degno successore di Angelo Maria Ripellino; mamma indologa e fondatrice della prima missione archeologica italiana in Afghanistan), si è laureato in Storia del Teatro Italiano e lavora in Rai come programmista e regista per il portale www.arte.rai.it.

Insomma, un atalantino di provatissima fede e di estremo garbo cresciuto lontano da Bergamo, ma di Bergamo innamorato. «Non so come sia cominciata», precisa. «Avrò avuto 11 o 12 anni. Certo è che la passione esplose con lo spareggio di Genova: ne attesi a tarda sera la sintesi in tv in compagnia di mia cugina, senza conoscere il risultato».

Dalla cugina al nonno materno, che lo porta in gita a Bergamo, il passo è breve, come dalla tv in bianco e nero allo stadio, dove le prime volte lo colpiscono il verde brillante del prato, il fatto che non ci sia una voce narrante a garantire la cronaca e il tifo possente della Nord. Dopo i 16 anni, ci viene da solo.

Trasferte avventurose: a fine anni Ottanta, in treno da Roma a Bergamo ci vogliono otto ore; Francesco parte il venerdì notte, passa il sabato in città, dorme in albergo dalle parti di Porta Nuova e riparte dopo il match, arrivando il lunedì all'alba, direttamente a scuola. Per lui come per molti, ben presto Atalanta significa anche relazioni umane, amicizie che nascono in ragione della comune passione calcistica e che poi durano per decenni.

Una rubrica di scambio di materiale fra tifosi ospitata dal «Guerin Sportivo», per esempio, gli fa conoscere Francesco e Antonio Gavazzeni, nipote del Maestro Gianandrea. E una delle partite della vita per Francesco è proprio condivisa con Antonio: Atalanta-Mantova 1-0, rete di Domenico Moro. L'Atalanta quel giorno (23 maggio 1982) ha la certezza di risalire in B dalla C; i due ragazzi sono in Nord, piove, e ai novanta minuti canonici segue il corteo giubilante: «Ricordo che alla fine ero zuppo come un pulcino - rammenta Francesco - e allora Antonio mi portò nella bellissima casa di via Porta Dipinta. Ancora anni dopo per sua madre ero l'amico di Roma tutto bagnato».

Già, anni dopo, un altro sodalizio tra Francesco e dei tifosi bergamaschi nascerà sulle tribune del Liberati di Terni, con due coniugi di Ponte San Pietro: Mario ed Esa Spagnolo. Francesco è arrivato da solo, da Roma. Vuole vedere l'Atalanta di Vavassori. Ternana-Atalanta del 26 settembre 1999 finirà 1-1, ma per il regista romano la cosa importante quel giorno succede all'intervallo: si alza per sgranchirsi le gambe, si guarda intorno e scorge una coppia che parla bergamasco. Si presenta, scambia quattro parole e lascia il suo recapito.

Quando, all'ultima giornata, Francesco sale a Bergamo per Atalanta-Cesena e un'altra festa-promozione (11 giugno 2000; 1-1, Nappi) si ricorda dei due signori di Terni e li contatta: pranza con loro, con loro vede la partita e, dopo averli salutati, quando ritorna in albergo, trova semplicemente il suo conto già saldato. Generosità e ospitalità bergamasche, concrete e silenziose.

Insomma, Bergamo e l'Atalanta sono entrati a pieno titolo nella vita di Colucci e della sua famiglia, mamma compresa. A Roma, infatti, quando gioca l'Atalanta, è lei a ospitare il figlio e a guardare con lui le partite in tv: «Non se ne intende moltissimo, ma segue volentieri», spiega Francesco. «I suoi due preferiti attualmente sono Consigli e Denis».

Addirittura, la signora Chiara Silvia, già settantenne, è voluta venire allo stadio. Guarda caso, per un'ultima di campionato (21 maggio 2011, Atalanta-Cittadella 2-2) con promozione annessa: «Si è divertita molto. Antonio Gavazzeni è stato splendido: non potevo portare mamma in curva... Abbiamo pranzato nella sala Vip, sotto le gigantografie dei giocatori del passato; poi partita in tribuna e festa sul Sentierone».

Ora, Francesco ha un piccolo sogno, e lo confida sul finire: la sua quinta partita della vita deve ancora essere giocata, e vorrebbe che vedesse suo figlio Gabriele fra i bimbi che entrano per mano ai calciatori. Desiderio che un tifoso come lui meriterebbe forse di vedere realizzato.

Stefano Corsi

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