Lutto nel mondo della scherma
È morto Mario Mangiarotti

Lutti nel mondo della scherma: è morto Mario Mangiarotti, ultimo di una dinastia di campioni. Ex schermidore e dirigente sportivo italiano, vinse una medaglia d’argento ai campionati mondiali di scherma del 1951 a Stoccolma.

Capostipite di una famiglia di grandi schermidori: Mario era il terzo di tre fratelli-campioni, ma la sua parabola lo porterà ben oltre, accompagnandolo nei suoi successi da cardiologo all’avanguardia e dirigente sportivo. Mario Mangiarotti, l’ultimo fratello ancora in vita della dinastia che ha riempito l’Italia di successi nella scherma, è morto nella giornata del 10 giugno a 98 anni, dopo una breve malattia.

Un nome d’arte il suo. Figlio dell’olimpionico di scherma Giuseppe Mangiarotti e fratello degli schermidori Dario ed Edoardo Mangiarotti, abbandonò l’attività agonistica e intraprese la carriera medica, in qualità di cardiologo.È stato anche presidente del Coni di Bergamo.

«I primi ricordi delle mie domeniche riguardano lo sport: mio padre si era preso l’impegno di fare lottare me ed Edoardo, in quanto vedeva il combattimento come insegnamento. Così, quando eravamo bambini, io e mio fratello trascorrevamo le domeniche mattina a darcele di santa ragione, dando vita a veri e propri incontri di boxe, in casa ma anche in pubblico: Edoardo aveva un anno in più di me, ma fino ai dieci anni ero io il più forte» aveva raccontato a L’Eco di Bergamo nel 2014. Scampoli di sport, che ovviamente non si esauriscono in quelle scazzottate sul tappeto: «Nel ’32 partecipammo alla prima gara di scherma giovanile, a Cremona, e ci prendemmo i primi due posti, iniziando di fatto la nostra carriera sportiva. Alla domenica, spesso, eravamo impegnati in gara e quando non era così eravamo con papà al seguito di altre manifestazioni. Non si riposava mai del tutto, ma si staccava dalle fatiche settimanali, fatte di scuola e lezioni di piano: essendo il più dotato in campo musicale, mi sorbivo cinque ore di insegnamento ogni pomeriggio, mentre i miei fratelli correvano o giocavano a calcio. Le poche volte che eravamo liberi, alla domenica, ci concedevamo una camminata o un lungo giro in bicicletta nelle campagne della Brianza».

Perché la famiglia Mangiarotti abitava a Milano, ma era originaria della zona di Renate, dove ai tempi c’era la casa dei nonni: Bergamo, per Mario, arrivò negli anni ’40, una volta scoccato il colpo di fulmine con la medicina e, in parallelo, con la moglie Eugenia. «È sempre stata lei a tenere unita la famiglia: se i miei tre figli sono cresciuti bene, gran parte del merito è suo. D’altronde, la medicina non va mai in vacanza e, tra il lavoro e gli impegni sportivi, i miei momenti liberi sono sempre stati ridotti all’osso. I pranzi della domenica non sono mai stati lunghi, per via del lavoro, eppure un aspetto è sempre stato immancabile: la partecipazione. Si parlava insieme e ognuno raccontava le proprie esperienze, che mettevano sul piatto le caratteristiche di ognuno di noi: era un processo di comunicazione e di acquisizione di conoscenze, un continuo do ut des. Nei pochi momenti che avevamo a disposizione, questo processo non poteva mancare e credo sarebbe utile anche nella società di oggi, dove molta gente ha molti impegni come me, ma non riesce ad approfondire questa componente fondamentale: insegna a trovare negli altri ciò che serve a noi» aveva sempre raccontato al nostro giornale.

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