Aereo caduto in Etiopia, l’ospedale
sarà intitolato alle vittime di Bergamo

Non si hanno ancora certezze sulla data in cui le spoglie delle vittime potranno essere riportate in Italia.

Mentre sono ancora poche le certezze sulla data in cui le spoglie delle vittime potranno essere riportate in Italia, a tre mesi di distanza dall’incidente aereo che in Etiopia costò la vita a 157 persone (era il 10 marzo scorso), tra cui 8 italiani, l’unica certezza sta nel fatto che l’ospedale di Juba costruito grazie all’impegno concreto dell’associazione «Africa Tremila» di Bergamo non si chiamerà più «Sant Ursula health center», bensì «Three Angels health center».

E i «tre angeli» sono i volontari dell’associazione di Bergamo che hanno perso la vita nello schianto del Boeing 737 Max 8 dell’Ethiopian Airlines sul quale si trovavano proprio per raggiungere la struttura ospedaliera in costruzione (e oggi terminata) in Sud Sudan: Carlo Spini, 74 anni, medico in pensione e presidente della onlus, la moglie coetanea Gabriella Viciani, infermiera e consigliera di «Africa Tremila», entrambi di Sansepolcro, nell’Aretino, e Matteo Ravasio, 52 anni, commercialista di Bergamo e tesoriere della onlus legata a Confartigianato Imprese Bergamo e che realizza progetti in campo sanitario, scolastico e alimentare in Africa, Asia e Sud America. «L’ospedale è praticamente completo, sia per quanto riguarda la struttura, sia per le strumentazioni ­– spiega Roberto Spagnolo, fondatore e presidente onorario di Africa Tremila –: non vediamo l’ora di andare a inaugurarlo per ricordare i nostri tre amici e volontari scomparsi, ai quali la struttura sarà ora intitolata: d’accordo con le suore locali, che poi la gestiranno, si è infatti deciso di modificare la denominazione dell’ospedale. La targa originaria l’aveva Matteo ed è andata distrutta sull’aereo. Ora abbiamo preparato quella nuova, che porteremo a Juba per l’inaugurazione, ci auguriamo nella seconda metà di giugno». Tra l’altro «Three Angels» è anche il titolo di una canzone di Bob Dylan del 1970.

L’iter per il riconoscimento

Intanto sono molto lunghe – com’era stato calcolato nelle aspettative iniziali – le pratiche di riconoscimento dei resti dei corpi delle vittime dello schianto aereo: fin da metà marzo l’Interpol ha svolto un lungo e complesso lavoro di reperimento di tracce genetiche delle vittime nei rispettivi Paesi di origine ­– che sono ben 35 – e nelle rispettive abitazioni. Le tracce di dna sono state quindi portate e concentrate in Etiopia, dove le autorità locali si stanno occupando per l’appunto del lungo e delicato iter di riconoscimento.

Ci vorranno purtroppo – stimano dall’Africa – ancora lunghi mesi prima che i resti delle vittime (149 passeggeri e 8 membri dell’equipaggio) vengano identificati e si possa poi procedere con la restituzione ai familiari per i funerali. Il Boeing era decollato dall’aeroporto internazionale di Addis Abeba, in Etiopia, ed era diretto all’aeroporto di Nairobi, in Kenya. Alle 8,44, ora locale, lo schianto, sulle cui cause sono ancora in corso accertamenti da parte delle autorità locali: il pilota aveva lanciato l’allarme poco dopo il decollo, chiedendo (e ottenendo) di rientrare all’aeroporto di partenza. Dopodiché i contatti radio si erano interrotti a causa, si apprese poi, dello schianto.

Le 8 vittime italiane

Uno schianto che si era rivelato terribilmente violento: i radar degli aeroporti della zona avevano registrato una «velocità verticale instabile». Dopo l’impatto con il suolo, 60 chilometri a sud-est di Addis Abeba, il velivolo aveva preso fuoco, senza lasciare scampo a passeggeri ed equipaggio. Oltre alle tre vittime di «Africa Tremila», sul Boeing dell’Ethiopian Airlines c’erano altri cinque italiani: l’assessore ai Beni culturali della Regione Sicilia, Sebastiano Tusa, che era archeologo di fama internazionale ed era diretto a Malindi per una conferenza dell’Unesco.

E poi Virginia Chimenti, Maria Pilar Buzzetti e Rosemary Mumbi, impegnate a vario titolo con il World Food Programme, il presidente della ong Cisp e di «Rete LinK 2007», Paolo Dieci, anch’esso conosciuto a livello bergamasco proprio per il suo ruolo nel mondo della cooperazione e del volontariato internazionale.

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