Difesa:«Dna sbagliato, serve la perizia»
Sentenza il 17, prima la parola a Bossetti

Salvagni: «Le indagini genetiche? Piene di criticità. Noi non abbiamo paura di ripeterle». I legali della famiglia Gambirasio: contro di lui prove certe, anche le intercettazioni con la moglie lo inchiodano.

Prima l’avvocato Claudio Salvagni paragona il caso di Bossetti a quello di O. J. Simpson. Poi definisce «spazzatura» l’esito delle analisi scientifiche sul Dna di Ignoto 1.Giovedì 6 luglio al processo di secondo grado per l’omicidio di Yara Gambirasio è cominciata l’arringa fiume della difesa. Nove ore, altrettante in programma lunedì prossimo. Nodo centrale, la richiesta di una super perizia genetica, bollata come «superflua» nella sentenza di primo grado: «Le analisi le ha fatte sempre e solo l’accusa, noi non abbiamo mai potuto partecipare in contraddittorio. Perché dovremmo fidarci? Non ci hanno fatto neppure vedere i reperti. Eppure quel Dna secondo noi è pieno di dubbi. A cominciare dal mitocondriale, ma non solo: abbiamo contato 261 criticità».

Un punto di vista, quello su cui insiste la difesa di Bossetti, diametralmente opposto alle valutazioni dell’accusa, secondo cui non serve alcuna perizia sul Dna, dato che la prova contro il muratore di Mapello sarebbe «granitica» e ripetuta più volte: ben 71 su 101, secondo il pg, le analisi che confermerebbero la bontà del profilo di Ignoto 1, tramite 38 marcatori (ne basterebbero 13) risultati perfettamente sovrapponibili a quelli dell’imputato). Prima della difesa era stato il turno dei legali della famiglia Gambirasio, Enrico Pelillo e Andrea Pezzotta. Quest’ultimo ieri mattina ha concluso la sua arringa chiedendo la conferma dell’ergastolo. «Oltre al Dna – incalza – Bossetti non ha un alibi. Ed è una mancanza significativa. Lo provano le intercettazioni ambientali dei colloqui in carcere con sua mogie Marita, che gli rinfaccia: “Eri via quella sera – gli dice, riferendosi alla sera della scomparsa di Yara – non mi ricordo a che ora se venuto e neanche cosa hai fatto. perché mi ricordo che all’inizio eravamo arrabbiati”. Un dato confermato dai tabulati telefonici, perché in quei giorni tra Bossetti e la moglie i contatti si erano interrotti». Aggiunge Pezzotta: «Dunque Bossetti, persona che conduceva una vita abitudinaria («monacale» l’ha definita l’avvocato Camporini, ndr) quella sera non tornò presto e non disse cosa fece: il ricordo della moglie è preciso». «Intercettazioni travisate e decontestualizzate», per la difesa.

Si alzerà in piedi all’ultima udienza e prenderà la parola, come fece del resto anche al termine del processo di primo grado. Massimo Bossetti, attraverso dichiarazioni spontanee, cercherà di convincere della sua innocenza la Corte d’assise d’appello di Brescia, presieduta dal giudice Enrico Fischetti (a latere Massimo Vacchiano e sei giudici popolari). L’ultima parola gli spetta di diritto, poi la Corte si riunirà in camera di consiglio, dove rimarrà fino al raggiungimento di un verdetto. «Quel giorno vorremmo entrare in camera di consiglio presto, perché ci serviranno diverse ore – ha preannunciato Fischetti – e non vorremmo entrare con l’ansia del tempo». Ancora molti gli aspetti del processo che gli avvocati difensori dell’imputato intendono toccare nelle loro arringhe e questo ha indotto ieri il presidente della Corte a fissare un’ulteriore udienza, il 17 luglio, inizialmente indicata soltanto come «di riserva».

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