Francesca, la maratona di NY per Luca
«Insieme per combattere il cancro»

«Il dolore è temporaneo, l’orgoglio è per sempre». Francesca ha letto questa frase su un cartellone a Manhattan quando ormai i chilometri macinati erano tanti e la fatica era al limite, ma il pensiero di mollare non c’è stato mai, perché quella maratona, il 6 novembre scorso, non l’ha corsa per lei, per una nuova medaglia o una nuova sfida con se stessa: quella corsa avvolta nei colori dell’autunno newyorkese l’ha combattuta per Luca Belloni, amico da vent’anni e combattente dal 2012 quando, durante una partita di tennis non ha più visto la pallina, e si è accorto che c’era qualcosa che non andava.

Un lampo che in pochi giorni lo ha portato in sala operatoria, la prima operazione contro un tumore al cervello che ancora oggi deve sconfiggere e che dalla scorsa estate si è ripresentato con ferocia. E allora le battaglie sono una, cento, mille al giorno. In mezzo lo sconforto, la rabbia, la paura, una fatica dopo l’altra, ma anche l’amore dei propri cari, la voglia di stenderla questa malattia che non gli dà pace, gli porta via pezzi di memoria e ricordi, ma non la voglia di correre. Perché la corsa è lotta e vita, perché la corsa fa sentire liberi. E Luca lo è, libero di combattere e di non mollare, soprattutto grazie all’affetto dei tanti amici. Come Francesca e non solo. La maratona di New York Luca Belloni, 49 anni e residente a Bergamo, avrebbe dovuto correrla insieme a lei e ai due amici di sempre, Paolo Colombo e Carlo Faranda. Con loro sul ponte di Verrazzano Luca ha già respirato l’aria pungente del mattino newyorkese due volte. «Poi il cancro è tornato a bussare alla mia porta e io ho dovuto mollare la presa» spiega Luca. Che non vuol dire non correre: «Io non smetto, anche se fatico, anche se ci sono giorni che non ce la faccio proprio. Io continuo, anche per cercare di provare a vivere nella normalità».

Il sogno di una gara tutti insieme

Per Luca sarebbe stata la quinta volta nella Grande Mela dopo quelle del 2000, 2005, 2014 e 2015: «Avevamo organizzato tutto e tutti e quattro abbiamo provato a partecipare alla lotteria che la città di New York organizza ogni anno mettendo a disposizione pettorali gratuiti per chi desidera partecipare da tutto il mondo». E la fortuna premia proprio lui: «Vengo estratto a sorte tra migliaia di nomi: ora a pensarci mi viene pure da ridere». Perché lui quella maratona non l’ha potuta correre: «Le cure negli ultimi mesi sono diventate sempre più intense e i medici lo hanno sconsigliato». Tanto che Luca rinuncia al pettorale e con lui Paolo e Carlo che decidono di non acquistarlo. «Avremmo corso tutti insieme, proprio come avevamo fatto nel 2014, per raccogliere fondi per la ricerca contro il cancro». Quest’anno anche Francesca era del gruppo: «Io ci ho pensato un po’ e ho deciso di andarci: a 50 anni è stata la mia 18a maratona che ho corso per Luca – spiega –. Dopo aver acquistato il pettorale ho tentennato: Luca a settembre era peggiorato e non poteva più partire. Poi due giorni prima di partire ne parlo con lui e decidiamo che io avrei corso con la sua maglietta gialla, quella che nel 2014 ha simboleggiato la sua lotta per la vita». Per sostenere la ricerca, le cure che Luca continua a seguire e che possono servire anche a molti altri malati.

Le battaglie continuano

Sono sempre i sogni a dare forma al mondo, dice una canzone. E qui di sogno ce n’è solo uno, che raccoglie vite e le lega insieme. «Anche se non si sa cosa verrà dopo» dice Luca. Ma Francesca è energia allo stato puro, è amore per la vita e incalza Luca, per nuove battaglie, nuovi traguardi. «Ogni attimo della vita cambia gli equilibri, ogni momento è speciale» dice Francesca, e Luca se la guarda quella medaglia che arriva da New York, bellissima. E sorride. Lui e Francesca sono compagni di corse campestri, tra scarpe infangate e ristori. «Siamo sempre stati in scherzosa competizione nelle corse delle nostre domeniche bergamasche» ammette Francesca. «Quelle dove si fatica ma soprattutto ci si diverte, quelle in cui ci si racconta la propria vita tra un saliscendi con la signora del paese che ti passa il tè caldo». Lei è quella che correrebbe a oltranza, «sulla distanza non la batte nessuno», ammette Luca. Lui è il velocista della coppia, «ma poi ci fermiamo a chiacchierare e passa tutto» continua. Passa la paura, passa questa maledetta rabbia. Ma il dolore è temporaneo, resta l’orgoglio: «A New York, arrivata sulla Quinta strada pensavo a Luca: la fatica mi ha accompagnato ma non mi ha battuto – poi aggiunge –. Lo ammetto, a un certo punto mi sono fermata e ho camminato, perché ho pianto dieci minuti. Poi mi sono detta: entro a Central Park e riprendo a correre. Così ho fatto».

«Il traguardo per un obiettivo»

Ha tagliato il traguardo dopo 4 ore, 13 minuti e 52 secondi, con Luca collegato da Bergamo a fare il tifo, a pensare mentalmente al percorso, a immaginare quelle voci «Go, Francesca, go» che avranno accompagnato la sua amica per tutti i 42 chilometri e 195 metri. Lei e la sua maglietta giallo fosforescente, che dice no al cancro. Attorno i volti e i colori di New York con oltre cinquantamila persone che il 6 novembre hanno raggiunto Manhattan con un obiettivo comune: arrivare al traguardo con dentro al cuore qualcosa in cui credere, per cui lottare. Proprio come Francesca per Luca, e da Bergamo Paolo e Carlo, ma anche la moglie Cristina e i figli Federica e Andres; gli amici e chi, la storia di Luca, l’aveva già letta e seguita sul nostro giornale due anni fa, «quando la maratona l’ho corsa davvero, dopo due anni di operazioni e terapie» ricorda Luca. Intanto le cure continuano, così come continuano le battaglie: «Sempre più difficili, ne sono consapevole: il cancro modifica le priorità, ti obbliga a nuovi percorsi».

Aiutare la ricerca

La sua strada lo ha portato alla Neuroncologia dell’ospedale Molinette di Torino: «Con la Fondazione per la Ricerca Biomedica Onlus, il professor Riccardo Soffietti, la dottoressa Roberta Rudà della Terapia delle neoplasie cerebrali. È grazie alla ricerca che io continuo a lottare». «Senza mai sentirsi malato – aggiunge l’amica Francesca –, di corse ne abbiamo ancora molte da fare». Perché c’è sempre un traguardo da raggiungere, con orgoglio.

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