Il piccolo grande cuore di Samuele
Nato 2 volte nel reparto dei miracoli

Il piccolo di sette mesi è nato con un problema cardiaco. «L’hanno rianimato per 50 minuti»

«Ma dov’è la tua scarpetta?» Samuele Bossone ha sette mesi e tanta voglia di vivere. Ci pensano i suoi piedi minuscoli a far capire alla mamma Martina e al nonno Pietro che non gli va di stare seduto nel passeggino: perché sentono una musica tutta loro e la seguono come in una sequenza di passi di danza. Quello che invece non si vede è il suo cuore birichino, con il ventricolo sinistro che non funziona, e che gli ha procurato un inizio tutto in salita. Ma in quella scarpetta che - un minuto sì e quello dopo ancora - viene scagliata lontano, in quegli occhi liquidi, in quel sorriso c’è moltissimo, c’è tutto: il premio più importante di una battaglia che ha cambiato in corsa tutti i pronostici, come accade a volte - il papà Gianluca, tifoso della Juve, lo sa bene - in una partita di calcio.

«Hai settanta meriti al minuto» scrive del suo cuore la poetessa Wislawa Szymborska. E sembra infine così semplice: quel battito scandito, regolare, che ci avverte di un’emozione ancor prima di sapere di provarla, lo portiamo con noi naturalmente, senza pensare a quanto è sorprendente e meraviglioso. Poi però accade che al quinto mese di gravidanza, nel corso dell’ecografia morfologica, si presenti un ostacolo imprevisto. Nel caso di Samuele si chiama «sindrome del cuore sinistro ipoplasico».

«Ci hanno detto – racconta Martina – che il bambino avrebbe avuto dei problemi e che dovevamo prepararci ad affrontarli. Ci hanno chiesto se volevamo comunque proseguire». Martina e Gianluca si sono guardati negli occhi e non hanno esitato: «È sangue del mio sangue – dice Gianluca –. Se ha dei problemi, mi sono detto, dovrò volergli ancora più bene. Non abbiamo pensato neanche per un momento di interrompere la gravidanza».

Da Monza a Bergamo

Ci sono stati altri esami, altre visite: «Noi abitiamo a Monza – spiega Martina – e ci hanno subito informato che qui a Bergamo l’ospedale aveva tutte le attrezzature che servivano per curare Samuele. Questo ci ha dato speranza. Abbiamo passato momenti difficili, ma la gioia per l’attesa di nostro figlio è sempre stata più forte».

Il momento della nascita era stato programmato con cura per il 23 marzo scorso: «Dovevano essere presenti tutte le équipe di pediatria e cardiologia del San Gerardo – continua Martina –, ma Samuele aveva fretta di nascere, ci avrà messo un quarto d’ora, con un parto naturale. Subito l’hanno visitato e così è emerso con chiarezza che il suo unico problema, per quanto grave, era la malformazione cardiaca. Siamo rimasti per due giorni nella patologia neonatale a Monza, poi ci siamo spostati a Bergamo in ambulanza». L’ospedale Papa Giovanni XXIII è uno dei pochi centri specializzati nel trattamento - delicato e complesso - di questa sindrome: «Il ventricolo sinistro del cuore di questo bambino – spiega Lorenzo Galletti, responsabile della Cardiochirurgia pediatrica e delle cardiopatie congenite – non lavora come quello normale, perciò bisogna fare in modo che i suoi compiti siano svolti tutti dal destro. Perché questo avvenga occorre creare un sistema alternativo di circolazione seguendo una serie di tappe. Samuele è già alla seconda del percorso classico. Dovrà essere sottoposto a un nuovo intervento tra due o tre anni. Il trattamento deve iniziare presto perché fin dalla nascita questi piccoli sono dipendenti da farmaci che mantengono il pattern di circolazione fetale. Perché il cuore funzioni bisogna associare le due uscite dal ventricolo, l’aorta e la polmonare, allargare l’arco aortico, creare come un’autostrada dal ventricolo destro all’aorta discendente. L’intervento più delicato è quello di Norwood, inventato da un chirurgo americano tanti anni fa: sono andato a scuola da lui per impararlo». Bergamo nel trattamento di questa sindrome ha raggiunto risultati di assoluto rilievo, al pari dei più grandi centri europei e nordamericani.

Il cambio di strategia

«Samuele – continua Galletti – ha iniziato questo percorso particolarmente in salita. Anche il modello di circolazione fetale che cercavamo di mantenere non era stabile. Il ventricolo destro era affaticato. Abbiamo dovuto cambiare strategia rimandando l’intervento di Norwood e seguendo una terapia ibrida, meno aggressiva. Il bimbo però ha tollerato poco anche questo e ha avuto bisogno di un periodo di supporto con l’Ecmo, una pompa che mantiene la circolazione nel cuore e nei polmoni».

Ci sono stati momenti drammatici: «Nel corso del primo intervento – ricorda Martina – Samuele ha avuto un arresto cardiaco di 50, lunghissimi minuti. I medici sono venuti a parlarci, sembrava tutto perduto».

«Mi è capitato di piangere – aggiunge Gianluca – ma sempre senza farmi vedere, perché prima di tutto mi preoccupavo di Martina, volevo essere forte per lei. E così, alla macchinetta del caffè, quella volta mi si è avvicinata una persona, mi ha detto di non preoccuparmi, perché in quel reparto fanno i miracoli. Ho scoperto che è vero». Il ventricolo destro di Samuele, finalmente, ha incominciato a lavorare: «Lui ci ha messo del suo» commenta Martina, osservandolo con tenerezza. Dopo l’operazione c’è stata la terapia intensiva, poi la degenza in reparto: quattro mesi di ospedale.

«Ora però – osserva Galletti – è in una buona situazione, con una circolazione stabile, sta crescendo bene, si comporta come un bambino normale, è un po’ una peste mi sembra, ed è proprio bello vederlo così. È uno dei pochi che sia riuscito a superare questo itinerario di interventi dopo un inizio così difficile. È stato fortunato perché in questo ospedale abbiamo tutto quello che serve».

Per occuparsi di questa malformazione ci vuole un alto grado di specializzazione e di dotazioni tecniche: «Curare questi pazienti – sottolinea Galletti – diventa alla fine importante non solo per loro, ma anche per gli altri, perché ci obbliga a mantenere livelli di eccellenza,che vanno a vantaggio di tutti. Quando interveniamo su bambini così piccoli dobbiamo pensare al futuro. Modificando un vaso bisogna tenere conto che tutto l’ambiente in cui è inserito si deve sviluppare. Non deve nascere un conflitto di spazio tra le strutture. E tutto deve funzionare perfettamente, anche negli altri reparti: anestesia, cardiologia, terapia intensiva. Altrimenti i bambini non riescono a uscire dal tunnel. Così non si misura solo l’abilità di un team chirurgico, ma di un intero sistema».

Una circolazione diversa

La circolazione di Samuele sarà sempre un po’ diversa: «L’intervento di ricostruzione di una circolazione alternativa – spiega Galletti – è stato inventato quarant’anni fa dal professor Fontan, che era un grande amico di Lucio Parenzan, operava con lui negli anni Settanta e proprio allora ha costruito questo modello. Non sappiamo se questo piccolino vivrà ottant’anni e starà sempre bene. Dobbiamo accontentarci di ciò che sappiamo sui bambini che sono già stati trattati. La qualità di vita riportata dai genitori e dagli insegnanti in genere supera le previsioni dei medici. Non gli è precluso nulla, a parte, ovviamente, lo sport di alta competizione, che però spesso è controindicato anche per persone prive di cardiopatie congenite».

Nei quattro mesi trascorsi in ospedale la famiglia Bossone ha stretto molte amicizie: «Condividere anche solo un sorriso in certi momenti è davvero prezioso» osserva Gianluca. «Nonostante fossero in condizioni difficili – aggiunge Galletti – questi genitori riuscivano sempre a conservare fiducia ed entusiasmo e a trasmetterlo anche agli altri». Martina, al ricordo, sorride: «Siamo fatti così. Non ci siamo mai arresi. Ma ad aiutarci più di tutto è stato Samuele, che è un vero guerriero. Vedere come reagiva alle cure ci dava coraggio. Cercavamo di stargli vicino, di incoraggiarlo, gli raccontavamo cosa succedeva a casa, pensavamo che sentire le nostre voci potesse fargli bene. Sapevamo che era in ottime mani. E poi ogni piccolo miglioramento era una conquista bellissima».

«Ho riscoperto la fede»

Quando passa una tempesta, niente rimane uguale, e così è accaduto anche alla famiglia Bossone: «Mi sono posto molte domande – chiarisce Gianluca –. Ne abbiamo passate tante, questo mi ha spinto a ragionare anche su me stesso e sulla mia vita. In passato mi definivo credente e non praticante. In questi mesi ho riscoperto la fede, all’inizio con disagio, perché non mi sembrava giusto che fosse la difficoltà a spingermi. Ho parlato a lungo con suor Bianca che ha battezzato mio figlio in ospedale in un momento in cui abbiamo temuto il peggio per la sua vita, lei mi ha aiutato. Adesso partecipiamo alla Messa ogni domenica con Samuele. Davvero sento che lui è la cosa più bella che mi sia capitata nella vita, e anch’io sono un uomo nuovo».

Tanti baci

Intorno a Martina, Gianluca e al piccolo Samuele c’è una «famiglia allargata» presente e affettuosa, con i nonni in prima linea: «È il nostro primo nipote – dice con orgoglio Pietro Tripoli, papà di Martina –. Mi piace occuparmi di lui così come ho fatto a suo tempo con le mie figlie. Stare con loro è la gioia più grande della mia vita, e quando ci sono dei problemi cerchiamo di affrontarli dalla parte giusta, restando uniti. È questo il nostro segreto».

A un certo punto, finalmente, è arrivata l’ora di portare Samuele a casa: «La nostra vita ora è tranquilla, regolare. Lo portiamo a passeggio, lui è molto vivace, ama la musica e le macchine, mangia con appetito. Sta crescendo, ha appena imparato a dare piccoli baci e alla fine della giornata abbiamo tutti le guance umide. Quando al mattino si sveglia e mi sorride mi dimentico di tutto. È bellissimo che sia tutto così normale».

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