«La media dei colpiti è intorno ai 70 anni
Dopo la malattia non uscire per 14 giorni»

Le risposte di Alberto Zucchi, responsabile del Servizio epidemiologico dell'Agenzia per la tutela della salute di Bergamo: il 6,8% è sotto i 50, il 27,8 tra i 50 e i 65. «A malattia superata meglio non uscire per 2 settimane».

Covid-19, il contagio da coronavirus sta lievitando, facendo aumentare il numero dei malati e purtroppo anche quello dei decessi. E contemporaneamente aumentano le ipotesi, le più varie, sull'andamento dei contagi, su chi viene colpito con maggiore facilità, su chi purtroppo non ce la fa, e muore. Negli ultimi giorni si è evidenziato che tra i deceduti sembra crescere il numero delle persone tra i 50 e i 60 anni, così come sembra essersi abbassata anche la media dell'età delle persone positive al coronavirus.

«I casi ci sono, non si può negarlo, ma va evidenziato che questo virus non lo si conosce affatto, lo si sta studiando adesso – rimarca Alberto Zucchi, responsabile del Servizio epidemiologico dell'Agenzia per la tutela della salute di Bergamo, anch’egli colpito dal coronavirus e guarito da poco – . Il dilagare del contagio nella popolazione che, è bene ripeterlo in ogni occasione, dovrebbe restare a casa il più possibile, determina anche un forte impatto emotivo, che cresce quando si viene a sapere che un conoscente, un amico, un parente in età giovane, magari uguale alla propria, ne è stato colpito. Ma un conto è l’aspetto emozionale, un conto sono i dati statistici. E i numeri che ora in Ats stiamo cominciando ad analizzare, in base alle informazioni che ci vengono fornite dalle Asst coinvolte nei ricoveri e nella cura dei pazienti Covid-19 non sono concordi con la variabile emotiva. I casi di persone giovani o relativamente giovani colpite dal virus ci sono, ma resta costante quanto dal punto di vista epidemiologico e clinico è apparso evidente da subito: cioè che il virus sembra avere maggiore incidenza tra la popolazione molto anziana e soprattutto fra quella fascia di popolazione che oltre all’età avanzata ha anche altre patologie croniche in corso o altri fattori di rischio evidenti». E Zucchi, a conforto delle affermazioni produce anche un po’ di cifre: «Guardando per esempio alle informazioni fornite all’Ats sugli ultimi 267 casi di bergamaschi ricoverati in Terapia intensiva e nei reparti di Malattie infettive, e le cifre sono riferite a lunedì 16 marzo, la media complessiva sull’età è di 69,88 anni. Nel dettaglio, queste le percentuali: le persone colpite e ricoverate per Covid-19 con età sotto i 50 anni rappresentano il 6,8% del totale, quelle tra i 50 e i 65 anni il 27,8% del totale, e quelle sopra i 65 anni sono invece il 65,4% del totale».

Ma è possibile sapere quante sono realmente le persone contagiate dal coronavirus nella Bergamasca? E soprattutto, fino a quando, se colpiti, si è comunque soggetti che possono trasmettere il contagio? «Una cifra attendibile non c’è. Le reazioni a questo virus sono diverse da soggetto a soggetto, e ci sono sicuramente state molte persone già contagiate dai primi di gennaio ma essendo asintomatiche non sono mai passate attraverso uno screening. Ora il tampone non si fa più, per una serie di motivi: si è scelto di agire sulla fase clinica della malattia e sulle misure restrittive di contatto sociale, che vanno rispettate rigorosamente – continua Zucchi – . Chi ha sintomi lievi viene curato a casa, ma anche se guarito, potrebbe, e sottolineo il condizionale, essere ancora contagioso. Non è dato sapere per quanto tempo, per questo non si dovrebbe uscire a malattia superata prudenzialmente per due settimane. Quando scatta l’immunità e quanto dura? Di certo chiunque ha contratto il virus, come per tutti i virus, ha un periodo di immunità, ma non sappiamo quanto sia lungo, il virus non è conosciuto ora. Sapere quante sono in totale le persone positive al virus sarebbe importante per la statistica epidemiologica: per arrivare a questi dati, però, andrebbero perlomeno testate tutte le persone che sono in quarantena o che lo sono state di recente. Questo dato agirebbe in modo determinante sulla letalità: ora questa viene misurata con il confronto tra i decessi e i ricoverati, ma se questo denominatore fosse sostituito dal numero delle persone positive in quarantena, la letalità si abbasserebbe di molto. Non è statisticamente vero che il virus è più letale qui che in Cina».

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