«La sua vita dedicata all’Africa»
È morto don Francesco Orsini

La notizia della morte del missionario bergamasco don Francesco Orsini e un testo di ricordo di don Giandomenico Epis, con altri contributi. E un ringraziamento al sacerdote: «Per tutto quello che ci ha insegnato nella sua vita».

È Pasqua, il sole è tramontato. Anche noi come i discepoli di Emmaus siamo smarriti per la morte di Gesù, non abbiamo ancora capito che Gesù è Risorto. Sarà allo spezzare del pane, l’Eucarestia, il momento in cui i nostri occhi si apriranno e potranno riconoscerlo e dire al mondo che Gesù, il crocifisso è veramente Risorto.

In questa sera di Pasqua, mi arrivano due telefonate quasi in contemporanea quella di don Massimo Rizzi direttore del Centro Missionario Diocesano di Bergamo e quella del Vescovo di Bondoukou, Mons. Bruno, per dirmi che don Francesco è morto questa sera (domenica 12 aprile) lla clinica PISAM, a Abidjan in Costa d’Avorio. Una settimana fa aveva subito un intervento chirurgico. Questa sera al tramonto di Pasqua, quando ormai è notte, Francesco ci ha lasciati.

Don Francesco era l’ultimo missionario bergamasco rimasto nella diocesi di Bondoukou: lui nato agli Spiazzi di Boario (Gromo) aveva fatto della missione il suo sogno, e aveva deciso di restare fino all’ultimo e di essere sepolto in quella terra d’Africa che ha servito per ben 31 anni.

Don Angelo Oldrati, suo condiscepolo così lo ricorda: «Ce lo siamo trovato nel Seminario di Clusone in mezzo ai tanti ragazzi di allora; allenato a una vita dura, non soffriva per le limitazioni della disciplina, anzi ci sfidava nelle gare per gli impegni della preghiera e dello studio. È sempre stato un duro con se stesso e un mite con gli altri. E anche nel percorso degli studi impressionava la sua applicazione sui temi più profondi prima della filosofia e poi della teologia. Ci veniva da chiedere: “Ma da dove gli viene tanta sapienza a uno sceso dai monti più alti della Bergamasca?”… Consacrato prete nel 1972, ha accettato la sfida della prima sperimentazione - oggi chiamata unità pastorale e fraternità presbiterale – di collaborare con i preti della Val di Scalve con servizio primario a Colere: sembrava il suo luogo ideale sul versante opposto dei suoi monti. Ma poi è sceso a valle: a lui che non aveva idea di oratorio è stato affidato prima per 5 anni quello di Ponte Nossa e poi per 3 anni quello di Paladina. Il clima di contestazione di quegli anni post-Concilio chiedeva alle strutture oratoriane di trasformarsi da luoghi di pura aggregazione a una pastorale giovanile più spirituale; e don Francesco ci credeva a questo e non temeva di apparire un prete-contro-corrente. Ancora più forte la sua scelta di accettare la missione di cappellano degli Emigranti in Svizzera per 8 anni; amichevolmente lo criticavamo per essere diventato lui montanaro un prete borghese- svizzero. E invece ha saputo adattarsi a un ministero che era soprattutto di incontri personali e anche di un’apertura ecumenica con la Chiesa protestante, non facile a quel tempo».

Francesco Orsini era arrivato in Costa d’Avorio nel 1989. Dapprima è stato parroco di Santa Teresa a Tanda per 17 anni ed è lì che l’ho conosciuto; quando mons. Amadei nel 2003 mi mandò come curato a Tanda, lì trovai don Francesco che divenne il mio parroco; con lui anche don Angelo Passera. Insieme abbiamo condiviso la vita della stessa parrocchia per due anni, poi il Vescovo Felix Kouadio ha dato a don Francesco altre responsabilità in altre parrocchie (prima a Transua, poi a Bondoukou e da ultimo Koutoubà dove stava costruendo la chiesa). Francesco è stato per 31 anni in questa terra d’Africa, portando il Vangelo ovunque, anche nei villaggi più sperduti della foresta tropicale o nella savana del nord. Solo in questi ultimi mesi era ritornato a Tanda per motivi di salute, ma questa volta nella parrocchia Saint Jean XXIII (papa Giovani XXIII). Questa chiesa dedicata al nostro santo bergamasco, era stata iniziata da lui e da altri missionari negli anni ‘90, consacrata il 17 luglio 2010, è la più grande chiesa mai costruita in questa diocesi, che può accogliere fino 2.500 persone. In ogni parrocchia dove è stato mandato don Francesco costruiva prima di tutto la chiesa per poter dare alla gente e soprattutto ai cristiani cattolici, un luogo di preghiera dignitoso. La costruzione della chiesa era anche un modo per dire a tutti, che la Chiesa Cattolica è presente.

Fino al luglio dell’anno scorso 2019 siamo stati insieme, nella stessa diocesi! Siamo stati gli ultimi due missionari rimasti in questa terra di Bondoukou: io ero parroco a Jean XXIII a Tanda e lui parroco a Koutoubà a 150 km più a nord. Don Francesco era da anni membro del Consiglio Episcopale, prima con il Vescovo Mons. Felix Kouadio e, ultimamente, con il nuovo Vescovo Mons. Bruno. Siamo stati insieme per 16 anni in questa diocesi con compiti diversi e in parrocchie diverse, ma ogni volta che il Vescovo convocava i preti della diocesi e i missionari per preparare il programma pastorale diocesano, o per un ritiro in occasione del Natale o della Pasqua, era per noi due l’occasione per incontrarci e parlare un po’ la nostra lingua madre, il bergamasco, parlare della nostra Italia, ma soprattutto confrontarci sulle difficoltà pastorali. Se don Francesco scendeva a Tanda passava da me, a volte, invece, andavo io da lui, e in quelle occasioni comparivano sulla tavola alcune fette di salame o di formaggio con un buon bicchiere di vino rosso, per rendere l’incontro anche momento di condivisione. Spesso parlava della formazione dei seminaristi, futuri sacerdoti. Diceva sempre che vanno preparati e formati ad uno spirito di comunità, di zelo, di dedizione, perché una volta diventati sacerdoti possano continuare, con questo stile, a servire il Signore. Diceva che bisogna aiutare i giovani preti a capire che non si diventa preti per far carriera, per diventare ricchi sulle spalle dei poveri. Bisogna educare i giovani sacerdoti a portare la croce del servizio. Siamo sacerdoti per servire e non per essere serviti… Non amava i preti “borghesi”, quelli che vestivano troppo bene; amava discutere anche con i sacerdoti che non amavano la pastorale, che non amano stare con la gente. Don Francesco amava l’Africa, amava la Costa d’Avorio, amava la diocesi di Bondoukou, amava la pastorale nei villaggi, amava dialogare con la gente povera. Ed era sempre pronto ad aiutare le persone in difficoltà: una mamma che doveva curare il suo bambino ammalato, un giovane che aveva bisogno di aiuto per frequentare la scuola superiore.

Insisteva molto anche sulla formazione dei catechisti e gli operatori pastorali, guide nel cammino di fede delle comunità. Il suo stile era l’essenzialità. Era povero, il suo guardaroba conteneva pochi vestiti e i sandali erano sempre quelli. Tutti gli aiuti che riceveva dalla diocesi di Bergamo, dalle parrocchie o amici, erano spesi per costruire chiese o per aiutare la gente della sua Parrocchia. Non chiedeva mai per sé, per i suoi bisogni personali; la sua camera era spoglia, il suo studio semplice, ma sulla scrivania aveva montagne di libri.

Amava i mezzi poveri anche nella pastorale. C’era in lui la convinzione che i risultati nella missione, dell’annuncio del Vangelo non vengono dai mezzi, ma dallo stile, dal modo di stare con la gente, dalla fede, dall’amore e dalla passione per la missione che Dio affida a ciascuno. Ripeteva spesso il brano del Vangelo di Luca che dice: “Con voi non portate né borsa, né bisaccia, né sandali, né due tuniche”.

Partiva sempre con la certezza che l’efficacia della missione è sempre nelle mani di Dio, e Dio provvederà. Aveva questa fiducia che gli permetteva di fare scelte coraggiose. Era sempre pronto e disponibile per qualunque missione il Vescovo gli avrebbe affidato. Don Francesco voleva restare in terra d’Africa e Dio ha ascoltato la sua preghiera.

Don Giambattista Boffi, direttore per moti anni del CMD ci ha detto: “Direi un tipico prete bergamasco trapiantato in Africa: 30 lunghi anni. Di certo un appassionato del Vangelo e della gente. Asciutto eppure disponibile a vivere quell’intreccio con il clero locale che permetta l’inculturazione concreta e non quella teorica”.

Anche mons Alessandro Assolari, anch’egli diretto del Cmd nonché suo condiscepolo ci ha fatto gingere questa testimonianza: “Non ha mai perso i contatti con la diocesi di Bergamo che l’ha inviato come segno vivo della cooperazione missionaria. Con fedeltà che a volte noi condiscepoli giudicavamo eccessiva, (ma era il suo modo di essere: rigido con se stesso e disponibile fino all’eccesso per gli altri sia pure in uno stile spartano/sparagnino); a intervalli di due anni rientrava in Diocesi per le vacanze che diventano l’occasione per un recupero fisico e anche per rinnovare i legami con gli amici di lunga data. Era l’occasione anche per noi condiscepoli ordinati nel 1972 di confronti a volte anche caricaturali tra il buon tempo suo, lontano dai problemi, e i pesi della nostra pastorale in bilico tra le tante cose da fare e le sempre più scarse risposte dalla gente delle nostre comunità. L’aspettavamo anche quest’anno ma ultimamente le notizie sono drammaticamente cadute fino all’epilogo finale. Don Francesco era stato nominato dal Vescovo di Bondoukou da poco tempo Vicario per la Vita Consacrata in Diocesi, un ulteriore segno di fiducia nelle sue attitudini all’incontro con le persone e con gli operatori pastorali. Si era messo d’impegno anche in questo nuovo servizio finché le forze lo hanno sostenuto. Siamo certi di aver un amico da invocare come intercessore e un esempio di dedizione alla missione di evangelizzazione da imitare”.

Don Angelo Passera ha vissuto molti anni con don Francesco: “Ci fu subito e per sempre un dialogo franco e una collaborazione operativa. Molto stimato e rispettato da tutti anche tra i preti locali, per la sua esperienza, spiritualità e generosità; a livello personale e per promuovere attività produttive e commerciali che potessero dare una vita dignitosa alle persone che lo interpellavano. Innumerevoli gli aiuti per l’istruzione e la salute. Il tutto senza che “la mano sinistra sappia ciò che fa la destra”. Una brava persona bergamasca: “sota la sender brasca”.

Non solo sacerdoti tra quanti hanno potuto collaborare con don Francesco e godere della sua testimonianza evangelica. Roberto e Miriam di Sotto il Monte raccontano: “Abbiamo don Francesco conosciuto quando è arrivato a Paladina , lui come curato e noi adolescenti . Per noi era un po’ “orso “ ... nei suoi modi di entrare in relazione, per come sembrava staccato e distante, ma poi pian piano abbiamo scoperto la sua attenzione , la sua disponibilità e la sua saggezza; per noi era il “ profeta” per come sapeva annunciare e incarnare la Parola e per come ci spronava a stare dentro il mondo; è rimasto l’unico “don” per noi , come è successo e succede a molti adolescenti , colui che ci ha aperto la strada all’obiezione di coscienza e al servizio civile , anche all’interno dell’oratorio, i primi Cre in Oratorio, ci ha introdotto ai famosi campi scuola a Postalesio, che ci ha spronato ad aprire le prime esperienze di gruppo adolescenti, ad essere animatori, attenti all’essenziale, andando anche contro corrente.... è rimasto nella comunità per soli tre anni ma ha lascito il segno; è stato un prete che andava alla radice del messaggio evangelico : povertà, perdono e amore”.

Mauro di Ponte Nossa aggiunge: “È stato guida, compagno di viaggio, amico da quando adolescenti frequentavamo l’oratorio… ci ha indicato l’amicizia fraterna come stile di cammino, l’ascolto della Parola di Dio della domenica, preparata settimanalmente nel “Gruppo del Vangelo” come riferimento quotidiano, l’amore cristiano verso chi ci sta vicino e chi è lontano, soprattutto i più bisognosi. Se l’amore e l’amicizia sono veri, non possono che apririsi agli altri, essere fecondi verso gli altri… “ tutto vi deve interessare” diceva, soprattutto le situazioni dove l’amore sembra assente (odio, rancore, miseria, fame, guerre, ingiustizie economiche, …)… per portarcelo, per riconoscere che Gesù lo sta già portando e ci attende a realizzarci facendo la nostra parte… Ci ha aiutato a crescere in gruppo, a scoprire l’amore di coppia come dono grande che può crescere ogni giorno, se viene vissuto con Dio e in continuo rapporto con la comunità (la famiglia di origine, il gruppo di amici, l’oratorio, la parrocchia, la chiesa, l’umanità che incontriamo e quella di cui veniamo a conoscenza nella quotidianità, …) Anche quando è stato chiamato al servizio di prete in altre comunità (un altro oratorio, i migranti italiani in Svizzera, la Costa d’Avorio ha continuato a guidarci e a essere amico: è tornato a concelebrare la messa del nostro matrimonio, il battesimo delle nostre figlie, abbiamo avuto la grazia di vivere con lui anche il matrimonio di una figlia …”.

“Que la terre de Bondoukou te soit legère mon père!”. “Che la terra di Bondoukou ti sia lieve padre!”. Grazie Francesco per quello che ci hai insegnato con la tua vita».

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