«Quella volta che Bud Spencer
salvò la vita a mio padre alle Olimpiadi»

La notizia della morte di Bud Spencer ha aperto un cassetto nella mente di Paolo Baraldi, che ha deciso di raccontare su Facebook un curioso aneddoto che lega il padre Gianfranco, ex consigliere comunale di Palafrizzoni, all’attore.

Ve lo proponiamo integralmente: «Succede che nel 1956 un giovane bergamasco di 20 anni, mio padre, Gianfranco Baraldi, dopo una serie di successi e di record italiani demoliti (tra cui il mitico record di Beccali sui 1500 metri che resisteva da molti anni) viene convocato nella squadra nazionale di Atletica leggera alle Olimipiadi di Melbourne, in Australia.

Tre giorni di volo, con un aereo a elica tipo quelli dei film di Indiana Jones, immortalati in bellissime fotografie in bianco e nero, scalo a Karachi, in Pakistan poi Singapore e infine l’Australia.

Al termine dei giochi, nei quali il «Gianfra» arriva IV alle semifinali dei 1500 (passavano in finale i primi 3...) mio padre continua ad allenarsi in attesa di poter rientrare in Italia; a quei tempi non c’era evidentemente il traffico aereo di oggi, molti atleti, pochi aerei, uguale lunghe attese. Dopo uno di questi allenamenti, in campagna, durante una partitella a calcio non vede un filo di ferro tirato ad altezza uomo tra due alberi il filo gli si tende sul collo e lo sbatte a terra all’indietro, la testa colpisce forte il terreno e perde i sensi.

In quel momento un altro atleta si allenava nei dintorni, era un nuotatore di razza, un gran bel fisico, qualche anno in più di mio papà, si chiamava Carlo Pedersoli, più tardi lo avremmo tutti conosciuto come Bud Spencer.

Pedersoli raccoglie Gianfranco e lo porta in braccio al più vicino ospedale militare da campo, sì perchè in Australia nel 1956 non c’era esattamente un sistema sanitario “moderno”.

Lì mio padre rimane per alcuni giorni in terapia intensiva, incosciente, sotto stretta osservazione sino a che non apre gli occhi: che cosa vede appena li apre? Un prete che gli sta dando l’estrema unzione, mio padre reagisce all’italiana, con stile, facendo appunto il gesto dell’ombrello al prelato che fugge indispettito per il mancato decesso e per l’ombrello.

Accanto al letto però il Gianfra si accorge che una bella ragazza con taccuino e occhiali sta osservando la scena con un certo gusto, è una giovane giornalista sportiva canadese che si era appassionata alla vicenda di mio padre e che non aveva mai abbandonato il paziente italiano sin dal ricovero.

Una volta dimesso dall’ospedale Baraldi cercò Pedersoli per ringraziarlo, ma era già rientrato in Italia lo incontrerà a Roma qualche mese dopo; tuttavia la giornalista leggendo un quotidiano locale trovò un annuncio incredibile, chiamò mio padre dandogli una bella notizia, o meglio un possibile buona notizia: «Gianfranco, un industriale italiano ha urgenza di tornare a tutti i costi in Italia per chiudere un importante affare: offre un milione di lire a chiunque gli ceda il proprio biglietto». Mio padre non ci pensa due volte chiama il capo-delegazione e chiede il permesso di poter vendere il proprio biglietto con la scusa che non ha fretta di tornare e che deve recuperare dall’incidente occorsogli.

Permesso accordato. UN MILIONE DI LIRE nel 1956 non so quanti fossero ma erano un pacco di soldi, tanto che mio padre fa vita da nababbo per settimane, poi, visto che l’amica canadese deve rientrare a Vancouver, no problem, la accompagna lui, passando per le isole Hawaii. Un bergamasco a Honulu nel 1956 era abbastanza una novità...

Canada, Stati Uniti d’America e infine il rientro in Italia, a Bergamo, al lavoro come ragioniere alla Magrini che lo attese in vano per tutto il tempo, mio nonno, visto che erano passati mesi dalla sua partenza e non si era fatto sentire non gli parlò per i tre anni successivi, e mio padre di riflesso pure, ma in fondo glia avanzavano ancora due o trecento mila lire da spendere, quindi il sangue cattivo più di tanto non gli veniva.

Anni dopo guardando un film di Bud Spencer, tra un cazzotto e una risata, gli venne fuori questa cosa pazzesca che Bud gli aveva salvato la vita. Pochi anni fa, dopo un grave incidente, in un momento di rara lucidità mi raccontò tutta la vicenda, e io ne rimasi un tantino colpito.

Insomma andrebbe romanzata meglio e tirata un po’ per le lunghe ma io trovo sia una bella storia, la storia del mio papà».

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