Rsa, liste d’attesa ai livelli pre Covid. In 4 mesi boom di richieste: +18%

La case di riposo. Le domande totali passate dalle 8.695 di ottobre alle 10.299 di febbraio. Manzoni: «Bisogno crescente». Maffeis: «Strutture sature». Ondei: «Pesa la carenza di risorse».

È una necessità strettamente connessa alla popolazione che invecchia e al lavoro di cura che diventa più gravoso. Le liste d’attesa per entrare in casa di riposo crescono, ampliandosi ulteriormente: secondo l’ultima «mappatura» dell’Ats aggiornata al 28 febbraio, sono 10.299 le domande totali in lista d’attesa per le Rsa bergamasche, presentate da 3.473 persone (perché ogni persona può presentare più domande d’ingresso). Il report precedente, datato 31 ottobre 2022, indicava invece 8.695 domande, suddivise tra 3.135 utenti. In soli quattro mesi le persone «in fila» sono aumentate del 10,8%, e le domande totali sono cresciute del 18% (perché ogni persona, appunto, presenta più domande). Il tutto, a fronte di 6.203 posti autorizzati nelle 67 Rsa che punteggiano la Bergamasca.

«Le strutture sono sostanzialmente tutte piene, la situazione è tornata quella precedente alla pandemia – commenta Barbara Manzoni, presidente dell’Associazione San Giuseppe che rappresenta una trentina di strutture d’ispirazione cattolica –. C’è un bisogno sempre crescente nella popolazione, che emerge perché probabilmente sul territorio non ci sono risposte adeguate: le patologie neurodegenerative sono sempre più diffuse, l’assistenza domiciliare non riesce a garantire quella cura che invece in Rsa è costante. Un’altra tematica è legata alle patologie che riducono la mobilità: per chi vive in abitazioni vecchie, magari con delle barriere, la situazione diventa sempre più complicata». Di «situazione pre Covid» parla anche Cesare Maffeis, presidente dell’Acrb, l’Associazione case di riposo bergamasche, che raggruppa strutture d’ispirazione laica: «Le strutture sono sature, al punto che anche le Rsa totalmente private, che pure hanno costi maggiori, sono arrivate anche loro a essere piene. Rispetto al pre-Covid osserviamo un progressivo cambio dell’utenza: c’è un aumento enorme di anziani con demenza di carattere avanzato, con scompensi e conseguenti difficoltà per la gestione domiciliare, e poi pazienti cronici in condizioni critiche. Così le case di riposo diventano l’ultimo miglio, con un servizio più sanitario che sociosanitario, e tempi di degenza mediamente più brevi». Nell’aumento delle domande, pesa appunto la difficoltà nell’accesso all’assistenza domiciliare: «Finché la situazione è questa, non si può prescindere dalle Rsa – rileva Fabrizio Ondei, presidente di Uneba Bergamo, sigla rappresentativa del non-profit –: l’assistenza domiciliare sconta ancora l’insufficienza di risorse. Per le Rsa, invece, aumenta sempre più la richiesta da anziani con situazione di deficit cognitivi marcati».

La fotografia dell’Ats mostra una «coda» più lunga soprattutto nelle valli, dove spesso le Rsa sono più piccole. A Gandino le domande in attesa sono 474 a fronte di 150 posti autorizzati, a Vertova si contano 458 domande rispetto a 82 posti autorizzati, ad Albino 446 domande mentre i posti autorizzati sono 140.

La tendenza d’incremento delle domande per entrare in Rsa, peraltro, non pare risentire dei recenti aumenti delle rette, «scelta obbligata» per le strutture alle prese con una congiuntura economica pesante, innescata dal Covid e amplificata dalla crisi energetica. «Le rette sono aumentate di alcuni euro al giorno, a seconda delle strutture, con specifiche realtà che hanno scelto uno step di verifica semestrale – spiega Manzoni -. Gli incrementi nelle rette sono in proporzione meno impattanti rispetto a quelli che sono gli extra-costi sostenuti dalle Rsa. Il tema energetico pesa ancora, anche se le bollette stanno iniziando a scendere: ma non torneranno ai livelli precedenti, mentre le Rsa devono continuare a utilizzare molta energia per garantire standard di servizio fondamentali, sia per il riscaldamento sia per le apparecchiature elettromedicali». A gravare i conti non ci sono solo le bollette, ma è l’intera filiera dei servizi ad aver espanso i propri prezzi: «La media degli aumenti dei nostri fornitori è del 6-10%, perché applicano l’adeguamento dell’Istat: l’aumento delle nostre rette invece si attesta in media di 2,5-3 euro al giorno, se avessimo dovuto applicare anche noi l’adeguamento Istat saremmo arrivati a 8-9 euro – ragiona Maffeis -. Chi ha aumentato maggiormente le rette, forse, è perché non le aveva mai aumentate prima o ha fatto fronte a problematiche economiche contingenti come investimenti importanti. Ci auguriamo che l’aumento dei costi si contenga, ma la vedo difficile». Se è vero che, come osserva Ondei, «la situazione sta migliorando», l’altra faccia della medaglia è che «noi dobbiamo garantire standard di servizio elevati: non possiamo permetterci di non riscaldare adeguatamente stanze, corridoi, palestre, mense, saloni».

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