Turismo, il boom di Airbnb a Bergamo
«Ma il sommerso è al 30%» - La mappa

Impalpabile come l’aria. Veloce, tanto quanto i dati nella fibra ottica. Incontrollabile senza gli strumenti adatti. Airbnb è la risposta naturale alla digitalizzazione dell’economia del turismo: annunci di case o stanze private messe a disposizione da chiunque a prezzi più che ragionevoli, in puro stile «sharing is caring».

Negli ultimi due o tre anni il fenomeno è esploso anche a Bergamo, così come in tutta Italia, con un forte impatto sul tessuto imprenditoriale esistente e con un punto di domanda a cui pochi hanno provato a rispondere: è legale al 100%? Stabilirlo con certezza non è semplice perché una legge nazionale non c’è e quella regionale non è ancora stata applicata. In questo limbo giuridico la piattaforma ha iniziato ad ospitare annunci che propongono tariffe e servizi concorrenziali, perfino troppo. Il sospetto di concorrenza sleale nei confronti delle strutture ricettive alberghiere ed extra alberghiere è confermato dai dati. Twig, società che si occupa di data mining, ha scattato una fotografia dell’offerta bergamasca sul portale simbolo della sharing economy. I risultati parlano chiaro: nella sola città di Bergamo si contano 517 annunci pubblicati su Airbnb. Di questi solo circa un centinaio figurano nell’elenco delle 455 strutture extra alberghiere che hanno presentato la Scia (segnalazione certificata inizio attività) al Comune di Bergamo. E solo 55 riportano, all’interno dell’annuncio, l’indicazione della tassa di soggiorno di 2 euro a ospite. Secondo le indicazioni del portale, invece, questo ultimo requisito dovrebbe essere obbligatorio per tutti.

Twig stima che se tutti gli «host» (così viene definitivo chi pubblica un annuncio, ndr) versassero la tassa di soggiorno, Palafrizzoni potrebbe incassare al massimo 300 mila euro: una cifra importante se rapportata al gettito totale di 1,2 milioni previsto dal bilancio 2016.

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