Successo al Creberg per Renga
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Francesco Renga, la voce. All'inizio del concerto con l'appoggio del solo pianoforte, poi al cospetto dell'orchestra, pronta a mescolarsi con i colori degli strumenti. Il repertorio è misto: corre lungo l'arco di una carriera e di una ricerca, tra gli applausi scroscianti del pubblico che ha riempito il Creberg Teatro in ogni ordine di posto. Qualcuno è anche in piedi, si è accontentato pur di esserci, e ora tocca a Francesco riaprire il calendario dei concerti, magari aggiungendo qualche data laddove la richiesta lo impone.

Orchestraevoce è un disco nato sotto una buona stella. Doveva andare in giro per il mondo e invece per ora si è fermato qui, in Italia, dove il successo è stato immediato, feroce. Un disco nato per il live e per il mercato estero che ha preso la strada di casa e non può abbandonarla. I fan del cantante si sono ritrovati nelle scelte di quell'album, nelle canzoni della gioventù che mamma faceva sentire a Francesco, a casa.

C'è quasi un'identità generazionale in quei brani che arrivano in un secondo tempo, annunciati dall'Ensemble Symphony Orchestra di Massa Carrara e dall'incedere solenne de «L'immensità». Prima il pianoforte di Giacomo LoPrieno riporta Renga alla sperimentazione del disco «altro» di «Ferro e cartone», bellissimo, con la voce nuda, a tu per tu con la nudità delle canzoni: «Ancora di lei, Raccontami, La nuda verità» dall'album «Tracce di te», «Ferro e cartone» per ricordare un passo che è stato cruciale nella carriera di Francesco.

Lui lo dice spesso: non è un musicista, né un cantautore (anche se spesso scrive le sue canzoni); è un cantante però, forse il migliore che abbiamo in Italia da tempo. Ed è per questo che ha deciso di mettere la vocalità al centro di un disco intenso e di questo concerto. La voce, lo strumento assoluto, il più umano. Renga lo ha studiato, complice il nostro Maurizio Zappatini, vocal trainer delle star. Ha rifinito la voce attraverso la tecnica e ora può permettersi di usarla centrandola nel caleidoscopio sonoro dell'orchestra.

Ieri i Timoria, il rock acrobatico e livido della città; poi il pop buono per Sanremo e infine la scommessa di un repertorio di canzoni immortali, il meglio che abbiamo esportato nel mondo, sul fronte di una tradizione melodica che forse non ha eguali e di certo molti ci invidiano. Canzoni in bianco e nero come la tv che era fatta bene: «Io che non vivo senza te» in opposizione temporale e melodica a «Pugni chiusi».

«Un amore così grande, La voce del silenzio, Dio come ti amo», illanguidita dagli archi, in una versione larga, che piacerebbe anche alla buonanima di Mimmo Modugno. «Angelo» e «Uomo senza età» appartengono al capitolo sanremese di Francesco; ed è proprio la seconda canzone, quasi una romanza, ad anticipare virtualmente il progetto di «Orchestraevoce».

Qualcosa che a giudicare da come reagisce il pubblico ai concerti, compreso quello di giovedì sera al Creberg, ha avvicinato ulteriormente la gente a Renga, alla sua voce che sale in alto e scende al fondo delle canzoni, schiudendo le porte ad una sensibilità popolare che dal vivo diventa ancora più palpabile.

Cantare parole altrui, immergersi con la propria voce nella melodia di altri e nel clichè che altri hanno imposto negli anni, non è facile, ma Francesco riesce perfettamente nel gioco favorito dell'interpretazione. Bravo, impeccabile, sempre concentrato, sino all'ultimo dei bis, quando, dopo «Tracce di te», intona ancora una volta «Un amore così grande», il pezzo giusto per un'incontenibile standing ovation.
 Ugo Bacci

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