Mannarino canta a Seriate:
non riempie, ma entusiasma

Alessandro Mannarino a Seriate non fa il pieno, ma il suo concerto entusiasma il pubblico, che si scalda fino a colmare il vuoto rimasto in sala. Reduce da «Parla con me» Mannarino si è esibito al Cine-teatro Gianandrea Gavazzeni. Il cantautore romano ha presentato le canzoni del suo disco, «Bar della rabbia», con tante canzoni in bilico tra umori popolari e materie sonore diverse.

Mannarino sta a mezza strada tra Gabriella Ferri, Manu Chao e Piero Ciampi. Anche le sue canzoni hanno un'intonazione popolare forte, profumano di vino, animate da un'umanità varia, un po' desolata, in cerca di riscatti impossibili. «A dire la verità - ha detto in una intervista al nostro giornale - Piero Ciampi l'ho scoperto dopo aver scritto il disco. Nelle sue canzoni ho trovato tanta poesia. "Bar della rabbia" però è figlio dell'era dell'iPod, non del vinile. Anche se è un disco apparentemente vintage. Nasce da una concezione più da iPod che discografica: nel senso che i generi si mescolano velocemente e le citazioni sono molteplici e anche in contrasto tra loro. Sono figlio di un tempo in cui si ascolta di tutto e si passa da un genere all'altro senza difficoltà. Tutto quello che accade è figlio del caso e del momento; contano testi e melodie».

Mannarino viene dall'esperienza del «deejay con la chitarra»: cambi veloci di atmosfera per raccontare qualcosa che contrasta un po' con l'atmosfera d'antan di un certo mondo popolare. «È il mondo dei ricordi d'infanzia: la Roma dei film neorealisti, la Roma raccontata da Rossellini, Pasolini. Quella dei miei nonni, delle canzoni romanesche ascoltate da ragazzino. Ma c'è anche la Roma del sogno, una città immaginaria che viene dopo. L'impronta vintage credo sia data dalla veracità di quel che nasce dentro. Ti metti lì e manco t'accorgi che hai scritto una canzone, perché viene da corde profonde».

Da questa terra di mezzo Mannarino parte per riscoprire sonorità e ritmi della musica popolare italiana, per poi condirle con elementi di musica gitana, tra citazioni felliniane ed evoluzioni circensi. «Mi considero un giocoliere. Al posto delle clave uso le parole. Il cantautore mi sa d'impegnato, il cantastorie è uno che raccoglie i fatti e li racconta, il giocoliere si diverte. Io sono un giocoliere serio». Ma niente circo, solo teatro, televisione, canzoni da condividere con Riondino, Ascanio Celestini, Don Pasta, Valerio Aprea.

«Sono territori diversi nello stesso viaggio. Ogni volta che canto una canzone mi faccio un giro in un posto e in un personaggio diverso. Posso passare dall'hip hop al valzer popolare, senza riportare ferite pesanti. Quando scrivo mi sento completamente in balia dei personaggi e delle storie, anche se credo di mantenere una mia identità in televisione come a teatro».

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