Benigni «superstar» a Sanremo
Nel mirino Bossi e Berlusconi

Roberto Benigni «superstar» alla terza serata del festival di Sanremo, dove ha fatto un ingresso trionfale all'Ariston in sella ad un cavallo bianco e tenendo in mano il Tricolore.

Roberto Benigni «superstar» alla terza serata del festival di Sanremo, dove ha fatto un ingresso trionfale all'Ariston in sella ad un cavallo bianco e tenendo in mano il Tricolore.

«Sono qui solo per parlare dell'inno di Mameli e dell'unità d'Italia» continua a ripetere ma non si fa sfuggire l'occasione di una serie di gag sul caso Ruby. «La nostra nazione ha 150 anni. È una bambina, una minorenne», esordisce. E poi: «Mameli quando scrisse l'inno aveva vent'anni, quindi era minorenne, perchè a quell'epoca la maggiore età si raggiungeva a ventuno. Comunque con 'sta storia delle minorenne non se ne può più e la cosa è nata proprio a Sanremo, con la Cinquetti che cantava Non ho l'età e si spacciava per la nipote di Claudio Villa».

Alla fine il nome di Ruby lo promuncia: «Ruby Rubacuori: vabbè, l'abbiamo detto». E rivolto al premier: «Silvio, se non ti piace, cambia canale, vai sul due: no, no, c'è Santoro!». Ancora su Ruby: «Abbiamo perso tempo a capire se era la nipote di Mubarak, ma bastava fare una cosa semplicissima, andare all'anagrafe in Egitto e vedere se Mubarak di cognome fa Rubacuori».

Dopo le gag sull'attualità politica, Roberto Benigni si addentra sul palco dell'Ariston in una lettura esegetica dell'inno di Mameli, sul modello delle sue celebri interpretazioni dei canti della Commedia di Dante. Ma anche l'analisi filologica e appassionata di Fratelli d'Italia non sfugge ai richiami al presente, come quando il premio Oscar si rivolge direttamente al leader della Lega Nord Umberto Bossi. «Dov'è la vittoria, le porga la chioma, chè schiava di Roma Iddio la creò. Umberto, è la vittoria che è schiava di Roma, non l'Italia! Umberto, il soggetto è la vittoria!», chiosa Benigni.

E poi: «Il federalismo è un'altra cosa. Qui parliamo dell'unità del Paese, che è la ricomposizione quasi religiosa di un corpo fatto a pezzi». E ancora: «L'unità è talmente bella che permette pure che qualcuno dice: non la festeggio!».

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