Stiamo attenti a rottamare
La gioventù non è valore assoluto

«La politica della rottamazione – anticipa Cataluccio – il movimento 30, ogni battaglia mascherata da problema generazionale – vecchi contro giovani, giovani contro vecchi – è molto limitante, può essere persino pericolosa».

Immaturità. La malattia del nostro tempo è un saggio che aveva pubblicato, alcuni anni orsono, per Einaudi. «L'immaturità del Novecento» è il tema della conversazione che Francesco M. Cataluccio ha condotto mercoledì, alle 14,30 nella sala Capitolare del convento di San Francesco (piazza Mercato del Fieno 6/a), nel quadro del laboratorio «Arrestare il tempo. Strumenti di decifrazione del presente», a cura di Giorgio Vasta, scrittore, e Fabio Cleto, docente di Letteratura inglese all'università di Bergamo (fino al 9 novembre, Corso di laurea in Scienze della Comunicazione, in collaborazione con Fondazione Bergamo nella Storia).

Personaggio interessante già per la biografia, Cataluccio: dal 1977 al 1986 «vagabonda» per l'Europa centrale, soggiornando a lungo in Polonia. Tornato in Italia, fa «svariati lavori, anche l'insegnate liceale». Poi vent'anni nell'editoria, direttore della Bruno Mondadori e della Bollati Boringhieri. «Complice l'insonnia», scrive numerosi saggi, e cura le opere di Witold Gombrowicz (Feltrinelli) e Bruno Schulz (Einaudi).


«La politica della rottamazione – anticipa Cataluccio – il movimento 30, ogni battaglia mascherata da problema generazionale – vecchi contro giovani, giovani contro vecchi – è molto limitante, può essere persino pericolosa». Non sono questioni generazionali, «il buon politico, scrittore, giornalista, non si giudica dagli anni che ha». C'è una «tradizione secolare», spiega il saggista, alla base di queste contrapposizioni generazionali. «Quando si vuol trovare un argomento di lotta quale via più semplice, facile, diretta, di questo richiamo all'anagrafe? Avanti i giovani, via i vecchi!» Il Novecento ci ha dimostrato bene che questo aspetto può essere «molto reazionario: la più grande esaltazione del mito della gioventù è stata fatta dai regimi totalitari. L'inno del fascismo era Giovinezza. La bandiera della gioventù che cambia il mondo fu usata anche dal regime staliniano».

Nella società occidentale il tema della gioventù come valore si presenta «presto», già presso greci e romani: «ma era un'esaltazione più estetica. E la vecchiaia non era un disvalore: i senatores, il consiglio degli anziani, era organo di governo. Nelle famiglie c'era il culto del vecchio, portatore di saggezza. Per gli antichi, a differenza che per noi, la misura era un valore supremo. Se gli dei, le Furie ti vogliono rovinare, ti tolgono il senso della misura». L'assolutizzazione del valore della giovinezza «si è andato ingigantendo con i secoli. La rivoluzione è Allons enfants». Nella società di massa «fa presto a solidificarsi. Oggi bisogna essere/apparire giovani a tutti i costi. Il miglior complimento è "come sembri giovane"».

Come se, attraverso i secoli, «la testa degli uomini fosse andata girandosi a ritroso. Andiamo avanti guardando indietro. L'età dell'oro è diventata la giovinezza». Il culto del fisico, la chirurgia plastica, la moda, sono «il precipitato di questa visione del mondo». Il culto dell'apparenza contro la necessità della sostanza è «tipica manifestazione sociale del trionfo dell'immaturità. Aspetti del mondo infantile che hanno invaso il mondo adulto». Nel Novecento, «secolo dell'immaturità», questo aspetto «è venuto alla luce molto bene. Le guerre mondiali possono esser viste come manifestazioni evidenti dell'immaturità dilagante: bande di ragazzotti si massacrano nel nome del mito della giovinezza».

Letteratura e cinema lo hanno mostrato con efficacia. Archetipo forte dell'immaturità del Novecento è Peter Pan (1904): «personaggio anche tragico, crudele». Gli fa da «pendant» Oskar Matzerat de Il tamburo di latta di Gunther Grass. Emblematica, in proposito, la scena finale di Full Metal Jacket: «questi soldatoni nel Vietnam, dopo aver snidato i cecchini nemici, ritornano al campo, lasciandosi alle spalle morte e devastazione». E che cosa cantano in coro? «Non l'inno americano, non l'inno dei Marines, ma la marcia del Club di Topolino».

Vincenzo Guercio

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