Il 1963 fu formidabile
Un anno di pace e di libertà

Non è facile spiegare a chi è cresciuto a pane e iPod con quale meraviglia fossero state accolte le prime musicassette e i relativi mangianastri, presentati al pubblico dalla Philips giusto 50 anni fa, nel 1963.

Non è facile spiegare a chi è cresciuto a pane e iPod con quale meraviglia fossero state accolte le prime musicassette e i relativi mangianastri, presentati al pubblico dalla Philips giusto cinquant'anni fa; ed è raro che qualche rete televisiva oggigiorno si azzardi a mandare in onda in prima serata i massimi capolavori cinematografici del 1963, «8½» di Fellini e «Il Gattopardo» di Visconti.

Peraltro, un modo garantito per farsi compatire dai più giovani è quello di presentarsi come reduci-testimoni di «anni formidabili», a cui sarebbe seguita dapprima la stagione plumbea del terrorismo e poi quella melmosa del «riflusso nel privato». Occorrerebbe anche un po' di autoironia nel ricordare le speranze e i progetti incompiuti degli anni Sessanta: i ragazzi che avessero la bontà di ascoltare potrebbero allora scoprire di non essere in assoluto la prima generazione umana ad aver amato, desiderato, pianto.

Soffermiamoci - tra molti altri eventi, dal disastro del Vajont all'assassinio di John Fitzgerald Kennedy - su un paio di episodi capaci di rendere lo «spirito del 1963». Il primo, datato 11 aprile, fu la promulgazione della «Pacem in Terris» di Giovanni XXIII, indirizzata non solo ai cattolici, ma «a tutti gli uomini di buona volontà». A pochi mesi dalla «crisi di Cuba», durante la quale il mondo era stato sul ciglio di una guerra termonucleare, papa Roncalli proponeva un'accezione non puramente negativa - come semplice assenza di conflitti - della pace.

Il secondo evento-simbolo del 1963 ebbe luogo il 28 agosto a Washington, sulla gradinata del Lincoln Memorial, come momento culminante della grande «marcia per il lavoro e per la libertà» a cui partecipavano più di duecentomila manifestanti, per la maggior parte - ma non solo - di colore. 

Il discorso di 17 minuti tenuto dal pastore battista Martin Luther King sarebbe stato analizzato dai semiologi e citato come un modello di retorica; a noi, però, piace credere alla tradizione per cui proprio la sua parte più famosa sarebbe stata improvvisata all'istante: «Io ho un sogno - diceva MLK -, che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero schiavi, sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza...».

Leggi le due pagine dedicate all'argomento su L'Eco di martedì 23 luglio

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