Donizetti, al Festival Pianistico
Lonquich affronta le «Goldberg»

Dopo L'arte della fuga con Ramin Bahrami, ecco le Variazioni Goldberg con il tedesco Alexander Lonquich. Questa sera (alle 21) al Teatro Donizetti l'ultimo capitolo bachiano del quarantaseiesimo Festival pianistico «Michelangeli» è affidato alle mani del più longevo ospite del festival, al 30 anni di collaborazione con la manifestazione diretta da Pier Carlo Orizio. Lonquich in un certo senso è un pianista senza segreti per il pubblico bergamasco. Fin dai sedici anni, alla sua apparizione accanto a Magaloff, il suo eccezionale e indiscutibile talento ha spesso intrecciato le serate al Donizetti.

Il confronto, o meglio, il parallelo tra L'arte della fuga e le Goldberg, nonché dei due pianisti scelti a interpretarle, è quasi obbligato. Entrambe sono opere della piena maturità, quasi lasciti disegnati dall'autore con l'intento di tramandarli come capisaldi della sua arte. Sistematiche per costruzione, sia L'arte della fuga che le Goldberg seguono un tracciato chiarissimo e lineare nella complessità che man mano arricchisce la trama contrappuntistica.

Le Goldberg seguono - un po' come i canti danteschi - tanto il ritorno del numero tre, quanto un percorso circolare: all'interno di una divisione in due parti precise, speculari, dopo le trenta variazioni il ritorno dell'Aria iniziale ha il senso di un approdo al punto iniziale, secondo un perfetto disegno circolare. In un certo senso è come se cerchio e quadrato trovassero una sintesi ineffabile: linee orizzontali dialogano e procedono autonomamente, tra imitazioni e altre divagazioni, mentre il profilo verticale è sempre perfettamente coerente e stringente. È il segreto del magistero bachiano, che proprio mentre portava al suo culmine oltre tre secoli di civiltà musicale, veniva soppiantato dall'amabilità leggera dello stile galante. Solo nel nostro secolo le Goldberg hanno via via riconquistato il posto che meritano, soprattutto grazie al pianoforte.

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