Gianni Mura ricorda l’amico Veronelli:
«In due parole cultura e generosità»

«Gli infami di ogni secolo, da Caligola a Mao, erano tutti astemi. Tutti i grandi, da Gesù Cristo a Platone, da Leonardo a Galileo, sono stati bevitori di vino».

Probabilmente non è vero, ma è un bell’esempio di come Luigi Veronelli amasse/usasse coniugare l’enogastronomia alla storia. A quella che si usa chiamare «cultura». Suo intimo amico, delfino in potenza, tra le firme di «*Pastiche», libro per il decennale della morte, il notissimo giornalista Gianni Mura.

Mura, a dieci anni dalla scomparsa: che ricordo lascia Veronelli? «Se dovessi dire solo due parole, direi: cultura e generosità. Aldilà del vino, della tavola, era di una disponibilità davvero straordinaria. Pur essendo Veronelli, cioè una celebrità assoluta anche fuori d’Italia, se gli scriveva uno sconosciuto vignaiolo dalla Puglia per fargli assaggiare il suo vino, gli fissava subito un appuntamento. Lo stesso valeva per i ragazzi che gli chiedevano lumi sul vino. Come il bravissimo bergamasco Francesco Arrigoni. Molti vengono chiamati maestri, e non hanno né capacità né voglia di insegnare. Lui ricordava quei pittori rinascimentali che prendevano a bottega i garzoni. In casa, biblioteca e cantina, perché nella sua casa di via Sudorno Veronelli aveva più libri che bottiglie. È uno che ha seminato molto».

Una disponibilità di cui ha avuto esperienza diretta. «Era il 1978/’79, lavoravo a “Epoca”, cui collaborava anche lui con le schede dei Ristoranti di Veronelli. Era un anno, un anno e mezzo che ci si conosceva, mi telefona e mi chiede: “Se non sono indiscreto, quanto guadagni?”. Risposta: “700, 800.000 lire”. Mi dice: “Ti garantisco almeno il triplo. Ma devi mollare tutto e venire qui. Ho capito che hai i numeri per fare da delfino”. Sono andato in crisi. Ci ho pensato un paio di giorni. Alla fine, con molta delicatezza e rammarico, gli ho detto di no. Ero tanto più giovane, troppo per pensare di campare tutta la vita a a scrivere di barbaresco e risotto coi borlotti. Allora, poi, ci si illudeva ancora di poter cambiare qualcosa facendo questo mestiere. Siamo, comunque, rimasti molto amici».

© RIPRODUZIONE RISERVATA