L’ultima intervista a L’Eco di Bergamo

Lo scorso 6 dicembre a Luciano Pavarotti è stato consegnato il prestigioso Premio Donizetti. In quell’occasione il tenorissimo non potè presenziare alla cerimonia di consegna, ma mandò un messaggio tramite il manager londinese di Pavarotti, Terri Robson e la sera stessa al teatro Donizetti venne trasmessa la registrazione di una telefonata dello stesso Pavarotti al direttore artistico del Bergamo Musica Festival, Francesco Bellotto.

L’Eco di Bergamo intervistò il giorno precedente Big Luciano. In quella che è stata forse l’ultima intervista concessa a una giornale, Pavarotti ricordò le sue amicizie bergamasche, i suoi debutti e molto altro ancora. Vi proponiamo alcuni stralci di quell’intervista realizzata da Emanuele Roncalli.

Maestro, come sono cambiate le sue giornate dopo l’operazione?
«Non mi sono mai fermato. Ora insegno, studio per conto mio, faccio un po’ di ginnastica e mi alzo pian piano dal letto. Sono in ripresa, i risultati non tarderanno ad arrivare».
Qualche tempo fa lei ha detto: «Nella vita ho avuto tutto. Se mi viene tolto tutto, con il buon Dio siamo pari e patta». Lo direbbe ancora?
«Certo. Non posso lamentarmi di nulla, perché ho davvero avuto tutto dalla vita, gioie, dolori,
successi, soddisfazioni». 
La città di Bergamo l’aspettava a braccia aperte, ma l’appuntamento è solo rinviato. Che ricordi le ispira la nostra città?
«Il mio primo pensiero è chiaramente per Donizetti. Ho visto la sua casa a Bergamo Alta, una stanza umile, semplice. Era semplicemente un genio, ha scritto l’Elisir d’amore in tredici giorni, oggi chi più riuscirebbe in una simile impresa?» 
Ricorda il suo debutto con l’opera di Donizetti?
«La seconda opera che ho cantato è stata Lucia di Lammermoor. L’ho cantata due mesi dopo aver debuttato e risale a prima di Natale del 1961 ad Amsterdam. Da allora sono sempre stato con questo vostro, anzi nostro, gigante». 
E sul palco di Bergamo? Le cronache scrivono di una sua partecipazione, «tenorissimo in erba», a Zogno, dove era stato chiamato a interpretare un ruolo del «Rigoletto».
«Sì, è vero, ma ricordo anche le mie prime esibizioni a Bergamo a fine ottobre del 1966, quando fui chiamato a recitare la parte del Duca di Mantova nel Rigoletto». 
Nella nostra città lei ha ancora tanti amici. C’è qualche aneddoto o qualche episodio che la lega a loro in modo particolare?
«Sicuramente c’è Gianandrea Gavazzeni. Non ricordo esattamente la circostanza in cui lo incontrai la prima volta, ma ebbi con lui uno stretto legame professionale. Ho lavorato tanto assieme a lui». 
Un incontro indimenticabile, insomma...
«Le voglio raccontare un episodio assai singolare. Io dovevo cantare alla Scala di Milano e Gavazzeni era incaricato di fare le audizioni. Cantai quattro-cinque arie e poi disse con voce ferma e pacata: "Sono convinto che lei vada bene". Si trattava di fare il Rigoletto. Quelle poche parole mi diedero molta fiducia. Poi feci altre audizioni con Missiroli, ma non ci fu un seguito, tutto si fermò».
Anche con la famiglia Trussardi il legame non è mai venuto meno.
«Certo, Nicola è stato un grande amico e un grande uomo. Il ricordo mi intristisce ancora. Mi è rimasto nel cuore, è difficile avere amicizie con personaggi di una così elevata statura professionale e umana».
Ha ancora un desiderio, un sogno che vorrebbe realizzare? «È sempre lo stesso, è quello di stare e frequentare di più il mio amico Di Stefano».
Durante la convalescenza, forse ha modo di vedere maggiormente giornali e televisione. C’è qualcosa che l’ha colpita?
«Il mondo è cambiato molto. Da quando ho approcciato i miei primi passi, tutto è mutato, ma non saprei dire se in meglio o in peggio. È difficile dare giudizi. Oggi è tutto diverso rispetto alla mia
giovinezza».                                 (06/09/2007)

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