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Andrea Torre, «L’immigrazione in Italia è un fenomeno strutturale»

Intervista. Il direttore del Centro Studi Migrazioni nel Mediterraneo inaugurerà venerdì 22 settembre «Patronato in Festa», l’iniziativa del Patronato San Vincenzo di Bergamo che proseguirà fino a domenica 24 settembre con laboratori, bancarelle e momenti di preghiera. Sabato alle 9.30 ci sarà anche la presentazione del restauro del grande olio del pittore leccese Antonio Massari

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(ANSA)

Torna dal 22 al 24 settembre in via Gavazzeni a Bergamo l’attesissimo appuntamento con il «Patronato in Festa», un’iniziativa che ogni anno apre le porte del Patronato San Vincenzo ad allievi, ex allievi e a tutta la comunità bergamasca. I festeggiamenti si apriranno venerdì 22 settembre alle 18 con l’inaugurazione del nuovo laboratorio di assemblaggio della Cooperativa Il Mosaico e proseguiranno subito dopo con l’intervento di Andrea Torre, direttore dal 2003 del Centro Studi Migrazioni nel Mediterraneo e condirettore di «Mondi Migranti», rivista di studi e ricerche sulle migrazioni internazionali.

LA: Che cosa sta accadendo in questi giorni a Lampedusa? Perché si parla ancora di emergenza per un fenomeno che è in atto da anni?

AT: Non è niente di sconvolgente rispetto a quello che c’è già stato, probabilmente arriveremo ai numeri del 2016. Cambia il luogo di partenza dei barchini: dalla Libia alla Tunisia. Questo dovrebbe far riflettere e comprendere che siamo di fronte a un fenomeno strutturale e che forse ci si sofferma troppo sugli aspetti legislativi e si trascurano quelli operativi, più complicati e legati alla burocrazia. È ovvio che la situazione esplode se in un giorno arrivano 7mila persone in una piccola isola, ma di fatto accade spesso che nella struttura che può ospitare alcune centinaia ce ne siano molti di più e per mesi. Se comunque i migranti devono essere trasferiti in continente, ci si chiede perché non farlo più velocemente. Forse ci sono motivi che ci sfuggono.

LA: La situazione pare mostri il fallimento degli accordi stretti dall’Italia con Libia e Tunisia.

AT: Gli accordi non stanno funzionando. Italia e Unione Europea dovrebbero riflettere sul fatto che la Tunisia è stata lasciata andare alla deriva dopo il 2011 quando era riuscita a dare vita a una democrazia con una Costituzione nuova. È stato dato poco sostegno a un Paese che stava vivendo una crisi economica, a cui ha contribuito poi il Covid, fino alla involuzione democratica del governo. Come spesso accade si dà colpa a un problema esterno, come avvenuto quest’anno quando il presidente Saied ha parlato di sostituzione etnica, non realistica perché non sono molti gli immigrati in Tunisia. Questo ha portato però all’uscita dalla Tunisia di persone provenienti dall’Africa subsahariana, in particolare dalla Costa d’Avorio.

LA: Quale dovrebbe essere il ruolo della Ue?

AT: Sul fatto che non faccia abbastanza, si deve però fare chiarezza e ricordare che gli Stati membri hanno voluto e deciso che le politiche sull’immigrazione fossero di competenza nazionale. L’Accordo di Dublino stabilisce ora che la domanda di protezione debba essere fatta nel Paese in cui si giunge, ma non si può dimenticare che prima chi arrivava in Italia, con la compiacenza dello Stato italiano, se ne andava in altri Paesi, perché l’accordo prevedeva che la domanda si potesse inoltrare tre giorni dopo l’arrivo in Europa. Sarebbe giusto che ci fosse una modalità più condivisa, ma diciamo anche che i governi che hanno orientamenti più simili al nostro, di fatto sono i primi che rifiutano di accogliere. Aggiungiamo che i dati al 10 settembre di quest’anno danno 250mila arrivi, di cui 200mila in Italia. Se questi numeri fossero divisi trai tutti i Paesi dell’Ue, il numero sarebbe risibile per l’impatto. Altro dato: in Italia ci sono circa 5 milioni di stranieri, altri due di origine straniera, ma tra le nazionalità prevalenti non ci sono quelle di coloro che arrivano con gli sbarchi. Quello che vediamo in tv è solo un aspetto del fenomeno.

LA: Blocco navale e corridoi umanitari: sono soluzioni?

AT: Il blocco navale è una boutade quando non si sa cosa dire, come l’idea di un complotto di un Paese straniero. Non si può commentare. I corridoi umanitari invece sono sicuramente un’esperienza interessante, ma limitata ad alcuni casi specifici di nuclei familiari in cui ci sono bambini o c’è una persona malata o con disabilità, quindi è un modello non utilizzabile su larga scala.

LA: I dati dicono anche che l’Europa necessita di lavoratori stranieri.

AT: È un elemento di razionalità e si deve dire che sono sempre stati i governi di centrodestra ad aumentare le quote di ingresso per motivi di lavoro. Anche il governo attuale porterà il numero dei flussi a 450mila. L’ingresso per motivi di lavoro è certamente da incentivare ed è una delle possibili soluzioni per evitare che le persone cerchino di entrare nei canali della richiesta di asilo con motivazioni che le commissioni respingono. Tanto più le politiche sono rigide tanto più l’immigrazione diventa definitiva, mentre sarebbe necessaria la flessibilità per accogliere anche lavoratori stagionali. Inoltre, per esempio nel caso della Tunisia, che è un Paese piccolo ed ha un piccolo potenziale di emigrazione, si potrebbe promuovere la formazione di chi desidera partire per avere manodopera più preparata.

LA: Comunque, arrivare regolarmente in Italia è molto difficile.

AT: Sì, per via della normativa molto rigida. Anche chi arriva con un visto turistico e con competenze specifiche, non può ottenere un documento per lavorare e come irregolare dovrebbe tornare nel Paese d’origine. Negli ultimi anni gli ingressi regolari avvengono per ricongiungimento familiare. I flussi migratori di fatto sono per il 90% una sanatoria “mascherata” che consente di ottenere il permesso di lavoro a chi è già in Italia irregolarmente, e che magari ha perso o non rinnovato il permesso. Con il governo Draghi le quote flussi erano 12mila, poi portati a 30mila, la Meloni ha implementato prima a 82mila, quest’anno 130mila, fino a 450mila.

LA: Queste difficoltà determinano l’aumento di minori non accompagnati?

AT: In molti casi la presenza del minore è la conseguenza dell’impossibilità di ingresso degli adulti; per esempio, vale per gli egiziani. La gente sa che per i minori ci sono tutele diverse. C’è un investimento familiare che passa dall’adulto al figlio più grande. D’altra parte, molti giovani lasciano il proprio Paese dove non hanno prospettive future, in questi processi ci sono anche casi di devianza più marcata. Per gli enti locali diventa faticosa la gestione dei minori, dal momento che la legge assegna al sindaco il compito della tutela, molto costosa e spesso poco sostenibile. Non è però alto il numero assoluto dei casi, ma pesante l’onere.

LA: Come realizzare una buona accoglienza?

AT: Questo aspetto è connesso all’incapacità della pubblica amministrazione di leggere e distinguere la qualità del lavoro svolto da chi accoglie. Spesso la burocrazia è pesante e ciò ha fatto sì che soprattutto nel periodo 2015-2016 ci sia stato un business per enti che non erano in grado di offrire un buon servizio. Investire nella qualità significa dare alle persone nelle strutture strumenti per diventare autonomi. Le esperienze migliori sono quelle che si realizzano con piccoli numeri e in contesti sociali ed economici in cui ci siano opportunità e possibilità di creare relazioni buone con le persone.

LA: Qualche volta sembra che un migrante economico abbia minori diritti di chi scappa dalla guerra.

AT: Ci sono molte forme di protezione previste dalla Convenzione di Ginevra ed è difficile catalogare le motivazioni delle persone, certo per un siriano è più facile il riconoscimento, ma è pur vero che c’è chi lascia la Siria e chi sceglie di restare. La migrazione attiene ad un fenomeno ma anche al campo delle scelte individuali. E rimane il dato che il 97% delle persone nel mondo decide di rimanere nel proprio Paese, alla fine si sposta solo una minoranza.

Il programma della festa (h3)

Dopo l’intervento di Andrea Torre, «Patronato in Festa» proseguirà nel pomeriggio di sabato, dalle 16, con le famiglie che potranno scoprire e partecipare a una serie di laboratori e, alle 17, assistere allo spettacolo «Ho promesso una casa a ciascuno», una lettura teatrale su don Bepo Vavassori con musiche e suoni di Luigi Suardi e interpretata da Alberto Salvi, attore, regista e autore di diversi progetti di pedagogia teatrale e direttore artistico del festival «A levar l’ombra da Terra».

Alle 18 ci sarà la celebrazione eucaristica. La festa culminerà nella giornata di domenica con la presentazione alle 9.30 del restauro del grande olio del pittore leccese Antonio Massari, realizzato nel 1964 per il «Patronato San Vincenzo» di Endine Gaiano e trasferito prima a Sorisole e infine nella sala Biblioteca della Casa del Giovane di Bergamo.

Per l’occasione, don Arturo Bellini informerà i presenti sulla situazione dei preliminari della causa di beatificazione di don Bepo Vavassori e presenterà una relazione sul tema «Paternità di don Bepo Vavassori». «Questo dipinto, restaurato con grande cura da Andrea Di Scipio, è stato definito anche “Epifania Laica” – spiega don Bellini – e raffigura simbolicamente il Patronato. Il punto focale del dipinto è la figura di San Giuseppe che tiene sulle ginocchia il bambino, accanto a lui Maria, un gruppo di angeli e tanti giovani, uno dei quali con una colomba in mano. L’opera ci restituisce quindi un senso di paternità adottiva che si lega fortemente alla figura di Don Bepo, che è stato davvero un padre adottivo per tanti orfani, bambini e giovani operai che hanno trovato in lui una figura di riferimento».

Domenica 24 settembre alle 11 ci sarà poi la concelebrazione eucaristica nella Chiesa della Casa centrale presieduta da don Davide Rota. Un momento di preghiera e di riflessione che verrà impreziosito dalla presenza di numerose rappresentanze di ex allievi di tutte le sedi del Patronato. Alle 12.30 ci sarà poi il grande pranzo finale su prenotazione. Venerdì e sabato sera, dalle 19, sarà attivo un punto ristoro con piatti della tradizione, griglieria e pizzeria. Sabato e domenica la festa sarà arricchita anche dagli stand e dalle bancarelle di tutte le attività del Patronato. «Questa iniziativa – sottolinea Andrea Giudici, responsabile della Cooperativa Patronato San Vincenzo – è nata come una grande festa per gli ex allievi, per offrire loro un nuovo momento di incontro e di condivisione all’interno del Patronato. Da quattro anni abbiamo deciso di aprire le porte di questo appuntamento e presentare le nostre attività a tutta la comunità bergamasca: un’occasione particolare che vi invitiamo a vivere insieme a noi».

Info e prenotazioni

Per informazioni sul programma e per le prenotazioni per il pranzo di domenica 24 settembre è possibile contattare telefonicamente gli organizzatori allo 035/4598130 o via e-mail a [email protected].

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