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Donne e STEM? Un binomio possibile (con un buon orientamento e molto amore per la scienza)

Articolo. Tra i vincitori dei Premi Nobel 2023 spiccano la fisica Anne L’Huillier, la biochimica Katalìn Karikò e l’economista Claudia Goldin. A Bergamo, nei corsi universitari più legati al mondo STEM, circa uno studente su tre è donna. Ma perché ancora oggi ci stupiamo quando sentiamo che “una donna” si è distinta nel proprio lavoro, soprattutto se nel mondo scientifico?

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«Oppenheimer», l’ultimo capolavoro di Christopher Nolan che racconta la storia e i lavori dell’omonimo scienziato durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale, fa ancora parlare di sé e non solo per gli apprezzamenti della critica. Nel gruppo degli scienziati mostrati è comparsa solo una donna (come fosse una qualsiasi) delle varie coinvolte nel Progetto Manhattan. È la chimica Lilli Hornig, che contribuì con i suoi studi sul plutonio-239. Nel film compare giusto per qualche secondo, per fare presente al dottor Oppenheimer come all’ingresso a Los Alamos le fosse stato chiesto quanto in fretta sapesse scrivere a macchina, ma che lei non aveva imparato questo durante il dottorato in chimica ad Harvard. Gli stessi scienziati comparsi si sono basati anche sugli studi di altre donne degli anni precedenti: Lise Meitner, Leona Woods, Carolyn Parker e molte altre, mai menzionate.

Non ci stupisce che negli anni ’40 ci fosse una netta prevalenza maschile nel mondo STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics), come una serie di stereotipi e mentalità che oggi definiremmo obsoleti. Quello che dovrebbe stupirci è che, ormai 80 anni dopo, la situazione sia solo lentamente migliorata. Tra i vincitori dei Premi Nobel 2023, assegnati in queste settimane, spiccano la fisica Anne L’Huillier, la biochimica Katalìn Karikò e l’economista Claudia Goldin, che ha contribuito alla comprensione degli esiti del mercato del lavoro femminile, evidenziando le nette differenze con quello maschile.

Perché ancora oggi ci stupiamo ancora quando sentiamo che “una donna” si è distinta nel proprio lavoro, soprattutto se nel mondo scientifico? E perché, anche inconsciamente e involontariamente, è radicato in noi questo pregiudizio della donna nel mondo STEM come una rarità?

Da studentessa di bioinformatica e immersa nel mondo STEM da ormai una decina d’anni, mi interfaccio quotidianamente con le problematiche associate al gap di genere in questo mondo: le mie compagne sono sempre state inferiori in numero rispetto ai compagni, e anche dall’esterno capitava di sentirmi dire che era insolito per una ragazza studiare a scienze applicate (e poi biotecnologie, e poi bioinformatica). Ciò mi ha sempre incuriosita, soprattutto se nel discorso usciva anche un «io invece non lo farei mai perché non ce la faccio, non sono portata, non mi ci vedo a fare la scienziata». È un dispiacere pensare che ci siano anche queste opinioni, soprattutto in alcune ragazze che non conoscono le proprie potenzialità e associano la loro presunta incapacità a semplici insufficienze a scuola. È proprio questa che dovrebbe instillare la curiosità, la passione, la determinazione nell’approfondire temi scientifici. Personalmente, ho avuto la fortuna di trovare docenti capaci di farmi innamorare delle scienze e delle materie affini sin da quando ero una bimba con una domanda fissa in testa: «Perché?».

L’orientamento scolastico

La scuola italiana ci porta a compiere la prima scelta indirizzata della nostra vita a 13 anni, quando dobbiamo iscriverci alla scuola superiore e non siamo pienamente consapevoli di ciò per cui realmente ci sentiamo portati e nutriamo una vera passione. Qui entrano in gioco i progetti di orientamento, che ci accompagneranno anche all’università.

Spesso si pensa a un percorso obbligato: «se studio x, divento X». Invece, la società di oggi ci mostra come siano le competenze trasversali, le soft skills e la preparazione e versatilità dei singoli a fare la differenza in un mercato in continua evoluzione, in cui può essere complesso identificarsi e immedesimarsi in un ruolo specifico, perché di fatto siamo noi i pionieri di alcune professioni che solo dieci anni fa non esistevano, soprattutto nel mondo STEM. È fondamentale quindi che le ragazze siano libere di sperimentare e di affacciarsi a questo mondo che per tanti anni le ha accantonate, ma anche che i ragazzi si sentano liberi di interfacciarsi con il mondo non-STEM, più sociale e pedagogico, per gli stessi motivi di stereotipi invecchiati male che vogliono vedere le donne “più portate” per accudire le persone.

Com’è la situazione a Bergamo?

Solo il 23,8% dei laureati under 35 ha una laurea STEM in Italia (Dati 2022, Rapporto ISTAT): fra gli uomini ha una laurea STEM il 34,5%, fra le donne il 16,6%. Per capire meglio la situazione nella nostra provincia abbiamo avuto l’opportunità di porre qualche domanda a tre docenti dell’Università di Bergamo: la Prorettrice al welfare e allo sviluppo sostenibile Annalisa Cristini, la Direttrice del Dipartimento di Ingegneria e Scienze Applicate Giovanna Barigozzi e la Delegata dal Rettore ai rapporti con le scuole, orientamento in ingresso e in itinere Federica Origo.

Nonostante la prevalenza femminile nella popolazione studentesca, ci sono delle nette differenze in base ai vari corsi di studio: nelle lauree triennali le ragazze superano il 70% nei corsi linguistici, pedagogici, sociali, umanistici e giuridici. La quota si abbassa per i corsi di economia, mentre per i corsi più legati al mondo STEM circa uno studente su tre è donna e per ingegneria meccanica solo il 13.6%. Sono dati che indicano una netta polarizzazione nella composizione dei corsi, la cui componente femminile è in leggera crescita soprattutto nelle lauree magistrali, anche grazie ad azioni di orientamento mirato e attuato ben prima di arrivare tra i banchi universitari.

A livello del corpo docente, la composizione è altrettanto sbilanciata. Soprattutto nei corsi STEM (dati del 2020, Bilancio di Genere UNIBG) si ha una minore presenza di docenti donne nella fascia degli ordinari (13% vs 21% della media nazionale), ma anche tra gli associati (30% vs 35%) e i ricercatori (24% vs 48%). Questo è un segnale che procedere nella carriera è più difficoltoso per le donne.

Il problema del gender gap nel mondo STEM può essere trasformato in opportunità sia da parte delle numerose aziende sul nostro territorio, sia dalle famiglie e dalle ragazze stesse. Da una parte, a parità di competenze tecnico-scientifiche, l’assunzione di donne potrebbe aumentare la diversità all’interno delle imprese e riequilibrare le differenze nel mercato del lavoro, attualmente carente di figure qualificate in quest’ambito, così da richiedere anche una revisione dell’organizzazione del lavoro e della cultura aziendale.

Multidisciplinarità e interdisciplinarità sono fondamentali per vincere le sfide tecnologiche e socio-economiche che le giovani generazioni sono e saranno chiamate ad affrontare, e diversi punti di vista, approcci, competenze e sensibilità possono essere messe in campo per garantire uno sviluppo sostenibile, efficace e inclusivo. Dall’altra, bisogna rivalutare i fattori che guidano alla scelta del percorso di studi, già a partire dalla scuola secondaria: non ragionando solo sulle offerte del mercato, ma soprattutto sulle proprie passioni e vocazioni, al fine di compiere scelte quanto più consapevoli possibili. Non ci sono prove scientifiche sulla differenza genetica tra uomini e donne nella predisposizione allo studio di una particolare materia, quindi bisogna lavorare sull’approccio che si ha verso la matematica e le discipline scientifiche sin da quando si sceglie cosa regalare a una bimba per il suo compleanno.

La professoressa Barigozzi, in particolare, consiglia di «ignorare coloro che fanno più fatica a riconoscere il ruolo di una donna in un ambiente prevalentemente maschile, dando prova del proprio valore sul campo a prescindere dal genere. Molte lauree tecniche permettono sbocchi occupazionali del tutto approcciabili anche da una ragazza, quindi chi si sente portata non deve avere paura di accettare la sfida di un percorso impegnativo e capace di dare grandi soddisfazioni». La professoressa Cristini invece ha sottolineato come fondamentali «la voglia di sapere, un “life-long learning” e la passione per ciò che si studia. La carriera universitaria è sicuramente lunga e assolutamente non lineare. È importante essere tenaci e non farsi scoraggiare dalle difficoltà, anzi essere determinate e continuare a impegnarsi nel proprio lavoro. Il valore aggiunto è sicuramente il fatto di poter fare molte nuove e varie conoscenze, rapportarsi con diverse generazioni e fondere autonomia e creatività».

E se una ragazza ha passioni apparentemente molto diverse? La Professoressa Origo qui ci rassicura: «ho potuto coltivare i miei interessi per le materie sia umanistiche che scientifiche. Seguite le vostre passioni, che si possono formare o cambiare nel percorso di studi, e non lasciatevi scoraggiare dai tempi lunghi dell’ambito accademico».

Per una filosofia femminista della scienza

La scienza non si fa solo tra i banchi di scuola e università. È una presenza costante nella nostra vita: dal funzionamento degli esseri umani alle piccole e grandi scoperte che ci illuminano da quando veniamo al mondo e interagiamo con il nostro ambiente. La scienza non è statica, ma è rivoluzione ed evoluzione continua, che non ci richiede un incasellarci per professioni ma un attivarci per missioni: per cosa mi piacerebbe studiare e applicarmi nella vita? E perché non fare in modo di essere noi, le nostre figlie, nipoti, sorelle o amiche a essere pioniere di professioni STEM che potranno aprire le porte a molte altre?

Il problema non è tanto il gap di genere. Non è la singola scelta, sono i motivi che portano a compierla, come il sentirsi inadeguate, il pensare di non avere opportunità. Forse, il punto di partenza è innamorarsi della scienza. Di tutte quelle piccole cose che – forse non ce ne siamo mai accorte – fanno parte della nostra quotidianità.

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