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«Se un intellettuale non è scomodo e scandaloso, a che serve?». In scena, tre articoli di Giovanni Testori

Articolo. A Treviglio, Teatro delle Albe presenta «A te come te». Una drammaturgia che parte da tre articoli dello scrittore pubblicati sul Corriere della Sera tra il 1978 e il 1980, legati dal tema della violenza contro le donne

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Giovanni Testori

Al TNT di Treviglio torna l’appuntamento con «Il Teatro Che Meraviglia», stagione teatrale serale organizzata dal Comune di Treviglio con la direzione artistica di deSidera Teatro / Teatro de Gli Incamminati. Mercoledì 1° marzo alle ore 21 andrà in scena in anteprima «A te come te» (biglietti a questo link). Uno spettacolo che nasce da alcuni articoli dello scrittore Giovanni Testori, ideato e diretto da Marco Martinelli e Ermanna Montanari, con la stessa Montanari in scena affiancata da Serena Abrami ai canti. Una produzione di Teatro delle Albe, Ravenna Teatro e Teatro de Gli Incamminati.

Una primissima versione dello spettacolo era stata presentata all’interno del festival «deSidera» del 2013. Dieci anni dopo, la compagnia ha deciso di riprenderlo e ripresentarlo in un allestimento completamente diverso: «Il progetto nacque da un’idea degli amici Luca Doninelli e Giuseppe Frangi a partire da “La maestà della vita” di Giovanni Testori, un libro che raccoglie molti suoi articoli del periodo in cui scriveva di attualità per il Corriere della Sera, negli anni Ottanta», spiega il regista.

Coppia d’arte e di vita, Marco Martinelli e Ermanna Montanari sono capostipiti di un’intera comunità artistica: il Teatro delle Albe, che dalla sua origine nel 1983 si è ampliato in più direzioni. Sono maestri di un linguaggio teatrale che innesta la parola nella voce e la drammaturgia nella compresenza tra visibile e invisibile; portatori di una poetica che attinge dalla tradizione scardinandola, e che non scinde l’arte dall’esistenza.

Difficile riassumere l’eredità di parole lasciata da Giovanni Testori, che fu pittore, scrittore, poeta, drammaturgo, regista, attore e critico d’arte. Proveniente da una famiglia fortemente religiosa, Testori mantenne per tutta la vita uno stretto legame con la fede cattolica, evidente nella sua attività letteraria e artistica. Fu Elio Vittorini a scoprirlo come scrittore nel 1954, pubblicando «Il dio di Roserio» e in seguito le raccolte di racconti dedicate alla sua Milano degli ultimi, degli umiliati perdenti. Nel 1960 inizia l’attività teatrale in stretto rapporto con Luchino Visconti, fino a dar vita a La Compagnia degli Incamminati, fondata con l’attore Franco Branciaroli e il regista Emanuele Banterle.

Successivamente alla morte di Pier Paolo Pasolini, Testori prenderà il posto suo posto al Corriere della Sera, diventando in seguito responsabile della sezione artistica e confermandosi una delle voci critiche più significative di quegli anni. Il 10 settembre 1975 esce il primo articolo di Giovanni Testori sulla testata milanese, una recensione della mostra su Bernardino Luini, che segna l’inizio di una lunga collaborazione, iniziata con critica d’arte e proseguita con commenti su diversi fatti di cronaca e cultura.

Lo spettacolo si sviluppa a partire tre articoli dello scrittore legati dal tema della violenza contro le donne. La compagnia si rifà le parole di Giovanni Testori, voce sempre controcorrente e fuori del coro: «Non vorremmo che, come va succedendo per altre vergogne e per altri delitti, a furia di parlarne, scriverne e discuterne, senza mai assumere la responsabilità di un gesto, si finisse per diminuirne la gravità, l’irreligiosa e disumana vergogna: si finisse, insomma, per abituare l’uomo a ciò che non è umano. L’abitudine a tutto è uno dei rischi più grandi che l’uomo sta correndo; a esso sta inducendolo la spinta negativa che vuol ridurlo a “cosa”».

Secondo lo sguardo del regista Marco Martinelli, Giovanni Testori, allo stesso modo di Pasolini, può ancora insegnare a non rassegnarsi all’indifferenza e all’abitudine, all’ingiustizia e alla violenza che attraversano il mondo: «Le parole di Testori andarono, all’epoca, a colmare quel vuoto lasciato da Pasolini, morto qualche anno prima, e che sullo stesso quotidiano pubblicava i famosi “Scritti corsari”. Giovanni Testori era questo: un combattente deciso a testimoniare la speranza, la speranza-bambina» spiega il regista.

Gli interventi del poeta erano sempre di forte impatto sull’opinione pubblica, appunto da designare gli articoli di Testori come successori agli «Scritti corsari» di Pasolini, morto nel novembre 1975. Il primo articolo ad attirare l’attenzione della stampa fu «La cultura marxista non ha il suo latino» del 4 settembre 1977, in cui l’intellettuale rispose a un fondo di Giorgio Napolitano sulla prima pagina dell’Unità del 28 agosto 1977. «Se un intellettuale non è scomodo e scandaloso, a che serve? – Si chiede il regista Marco Martinelli – Testori lo era, non diversamente da Pasolini ed Elsa Morante. In quell’epoca, quelle figure avevano la possibilità di esprimere le proprie opinioni sulle prime pagine dei quotidiani più importanti e, come affermava Pasolini, di parlare al lettore in quanto se stessi in carne ed ossa».

Gli articoli a cui lo spettacolo fa riferimento si legano fra loro sul tema della violenza contro le donne, che secondo il regista: «È metafora di violenza sull’umanità intera, come ogni forma di violenza mossa da discriminazione, che sia questa di genere, di stampo razziale o abilista».

Scritti tra il 1979 e l’80, i pezzi provano a far luce sulle zone di buio: l’omicidio di una bambina, un matricidio, e infine la richiesta che Testori fa allo Stato Italiano di una legge che difenda le donne dalle violenze. «Quello che ha colpito me e Ermanna Montanari, durante la fase di studio degli scritti di Testori, è quanto pur essendo pezzi di puro giornalismo, fossero ricchi di poesia. A mezzo secolo di distanza, quelle parole sono ancora vive, continuano ad essere portatrici di interrogativi sul significato del vivere civile e incivile» racconta Martinelli.

Ermanna Montanari darà corpo e voce agli scritti di Testori, Serena Abrami intarsierà le parole con canti di varie tradizioni. L’epilogo è un’intervista fatta a Testori da Luca Doninelli, nel letto d’ospedale, poco prima della morte dello scrittore; unito a frammenti di «Mater strangosciàs», dei «Tre lai», i monologhi scritti negli ultimi giorni della sua vita. Gli autori spiegano come il testo sia una sorta di grido disperato, sia negli articoli, sia nella volontà di continuare a fare teatro per andare sempre a fondo nell’umano: un modo per non cedere all’indifferenza.

Marco Martinelli e Ermanna Montanari ci danno appuntamento a teatro lasciandoci con una riflessione: «E noi? Siamo capaci di raccogliere il testimone che ci consegnano le pagine dolenti, profetiche, scritte da Testori per l’Italia di quegli anni?».

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