Comfort zone? «Botép». Il dialetto meglio dell’inglese

LA RECENSIONE. Bergamo lingua viva? Con Vecchio Daino, al secolo Ezio Foresti, assolutamente sì.

L’influencer, in bergamasco, «l’è ü che l’à mai fàcc negòt in de so éta e l’pretènd de insegnàga ai óter a stà al mónd», cioè «uno che non ha mai fatto niente nella sua vita e pretende di insegnare agli altri a stare al mondo».

La traduzione di Vecchio Daino, al secolo Ezio Foresti, non è ovviamente letterale, ma si ispira alla concretezza, al comune sentire, all’operosità della gente orobica, e rispecchia le chiacchiere «da bar», oltre a quelle degli oltre 36 mila follower della sua pagina «Animali mitologici bergamaschi» su Facebook. Il nuovo libro «Bergamasco lingua viva» (Sestante), con illustrazioni di Emanuele Tomasi, rende omaggio al dialetto orobico, mostrando come possa essere efficacemente utilizzato perfino per «tradurre» nel buon senso corrente le parole che l’italiano contemporaneo prende in prestito dall’inglese.

L’autore lo presenta alla fiera dei Librai sul Sentierone mercoledì sera alle ore 20,30. «Quello che vogliamo trasmettere - sottolinea Foresti nell’introduzione - è soprattutto il senso di appartenenza a una terra. Magari accompagnato da un sorriso».

Tramandare il dialetto

Alla base c’è la speranza che il dialetto possa essere consegnato come «lingua viva» anche «a chi ancora non lo parla». Come spesso accade nei lavori di Foresti vengono offerti molti livelli di lettura: da un lato una seria attenzione alla lingua e al suo utilizzo, con un segnale chiaro rispetto all’(ab)uso dei termini stranieri, dall’altro c’è una notevole collezione di battute facilmente «riciclabili» in qualsiasi contesto.

La prima parte

La prima parte del volume è un piccolo glossario in cui compaiono termini che appartengono a diversi universi: da internet, comunicazione e marketing al gergo giovanile. Ad accompagnare ogni definizione ci sono «didascalie esplicative» che contengono idee delle «persone comuni», in cui è facile identificarsi. Per esempio: «dating online» in bergamasco diventa «l’è quando te fé l’bambo con d’öna sènsa èdela e quando te la èdet te ölet piö èdela del töt», cioè «è quando fai lo stupido con una senza vederla e quando la vedi non la vuoi più vedere del tutto». Ma nel commento a margine si spiega che «Abbiamo accolto con un po’ di stupore l’avvento della virtualità. Nei confronti della quale siamo sempre stati diffidenti, come di tutto quello che non si può toccare e modificare con mano».

La seconda parte

La seconda parte si spinge oltre, e propone l’uso del bergamasco in espressioni e modi di dire normalmente presi a prestito da altri idiomi come l’inglese, lo spagnolo e perfino il latino. «Potrebbe essere - sorride Foresti - una specie di piccolo prontuario utile anche per i turisti che vengono a Bergamo». Il tono è molto scherzoso, perciò per esempio comfort zone diventa «Botép» e gossip «le ciàcole», oppure «alea iacta est» (il dado è tratto) si trasforma in «l’è ‘ndàcia la quàia» e nei commenti a margine si scoprono - sempre con una rilettura ironica e leggera - molti aspetti della cultura e delle abitudini della gente orobica. Tra le curiosità più gustose: se i bergamaschi non sono inclini alle smancerie, e per le parole dolci (póche sbambossade) hanno l’universale «stèla», in compenso ci sono almeno otto termini per indicare i diversi tipi di mattone (sull’edilizia non si scherza). Si scopre poi che «parlà ladì» (parlare in latino) vuol dire «parlare in modo forbito ed eloquente, molto spesso con ingannevoli fini persuasivi». Oppure che il francese «parbleu» si rende benissimo con l’universale «pòta», il nostro «filler», che va bene dappertutto. Usare il bergamasco, infine, fa risparmiare fiato, considerata la notevole quantità di monosillabi del dialetto: «con una manciata di vocali, consonanti e accenti - precisa Foresti sotto il titolo “Tègnela cörta” - siamo capaci di creare un mondo di parole, secondo il tradizionale principio che è meglio risparmiare tutto».

© RIPRODUZIONE RISERVATA