«Ecco 11 cose che i miei genitori non facevano»

Una mamma ci scrive e fotografa con ironia cosa vuol dire essere genitori oggi. Tu sei d’accordo? Scrivici la tua opinione o esperienza al riguardo.

Essere genitori oggi: anch’io mi sono stancata

Premetto che trovo questi articoli di «Missione Bergamo» sempre molto interessanti e li leggo con molto piacere. Mi rispecchio molto in quello che scrivete.

Ricordo frasi del tipo «Oggi nella partita dell’essere genitori ci sono sempre troppi arbitri e sempre meno giocatori; i genitori di oggi non saranno forse i peggiori ma sicuramente sono i più giudicati…». Mi piace pensare al fatto che anch’io un tempo, da non genitore, giudicavo aspramente come un arbitro, ma una volta diventato giocatore mi sono accorta di quanto sia difficile.

Tornando all’articolo vorrei segnalare una cosa. L’altro giorno riflettevo a quanto oggi un genitore fa e si chiede di fare. Cose che però i miei genitori non hanno mai fatto o comunque quasi mai. Ne è nato questo elenco:

1. Andare a tutte le riunioni di scuola: raramente i miei ci andavano, non guidavano e si interessavano sempre poco, visto poi il mio buon profitto…

2. Andare alle riunioni di catechismo e delle varie attività sportive: non erano ancora state inventate.

3. Improvvisarsi tassista per... (quante volte? meglio non contare…) a settimana, tra impegni sportivi, scolastici e in futuro di divertimento (i miei figli non sono ancora nell’età in cui li si va a prendere fuori dalla discoteca alle 3 di notte, ma, ahimè, ci arriveremo…): come già detto, i miei genitori non avevano la patente.

4. Trovare il tempo per fare la pallavolista, la giocatrice in scatola, la creatrice di lavoretti di Pasqua e feste varie: l’unico gioco fatto insieme era giocare a “scala 40”, ma voglio in questo caso aggrapparmi all’idea di avere la memoria corta...

5. Travestirsi da ultrà per seguire con acceso interesse le partite dei propri figli, con trasferte che a volte richiedono l’impegno di una giornata. E questo se non si è abbastanza fortunati che i propri figli pratichino uno sport relativamente in zona. Dove vivevo io o eri un calciatore o rimanevi inadatto alla pratica sportiva.

6. Rispolverare tutte le conoscenze di matematica, scienze e materie scolastiche dalle elementari alle medie (a breve mi inoltrerò in quelle della scuola superiore) per aiutare nei compiti quotidiani: i miei avevano la quinta elementare, ed io sono comunque arrivata alla laurea.

7. Creare l’atmosfera adatta per far nascere interesse ad uno strumento musicale nonostante io non ne abbia mai preso in mano uno. È comprovato che i miei figli non si siano appassionati allo strumento in quanto io non ero in grado di stimolarli: i miei non erano suonatori, mio padre cantava e per un po’ mi sono unita al coro parrocchiale, ma questo non richiedeva certo un impegno da parte sua.

8. Interessarsi delle relazioni con i loro coetanei nel caso in cui mia figlia sia esclusa dal gruppetto di amiche del quale vorrebbe far parte, o per assicurarsi che in una giornata di sole come oggi abbia qualcuno con cui giocare o trascorrere del tempo: avevo una sola amica e le nostre rispettive madri non organizzavano certo i nostri incontri.

9. Ricordare pacatamente e con persistente pazienza, anche per dieci volte, di ritirare il bidone della spazzatura il tal giorno: mia madre me lo chiedeva una volta, alla seconda era libera di darmi una bella sberla senza avere i rimorsi di avermi inflitto chissà quale punizione e aver mancato di autocontrollo.

10. Organizzare uno schedule plan completo di foglio excel che programmi la loro estate per assicurarsi che non si annoino: io avevo tre settimane di Cre pomeridiano, e dopo le tre settimane di colonia al mare (quelle, sì, erano noiose…), giocavo poi tutta estate con un’amica senza intrusione di un adulto.

11. Trasformarsi in party planner in occasione dei loro compleanni: davvero non ricordo nemmeno se mia madre, casalinga, avesse almeno cucinato la torta di compleanno.

Dopo questo lungo elenco mi sono chiesta cosa ci fosse che mia madre faceva in più, e che io non faccio ora. Mi riprometto di pensarci per ritrovare “la pace interiore”.

Spero abbiate compreso il mio tono umoristico, ma in caso contrario meglio sottolineare che non critico assolutamente il lavoro dei miei genitori, anzi! Nonostante tutte quelle “mancanze” sono cresciuta senza traumi e mi sono pure laureata, trovando un bellissimo lavoro che poi però ho dovuto mollare in quanto inconciliabile con la famiglia. E sì, oggi per star dietro a tutto o hai i supernonni che ti fanno da tata, tassisti, aiuto-compiti, accompagnatori al parco (e lascio a voi aggiungere il resto, vedi elenco precedente…), oppure non ce la fai.

Ora ho ripreso a lavorare, anche se non è certo il lavoro per il quale mi sono laureata: né dal punto di vista remunerativo e nemmeno dal punto di vista delle soddisfazioni, ma almeno è un lavoro e mi fa felice il solo averlo. Ma questa è un’altra storia.

Ci si chiede quindi perchè oggi le giovani coppie non facciano più figli o ne facciano solo uno. Beh, dopo quanto scritto promulgherei una legge per istituire la cassa prioritaria alle coppie con tre o più figli. Anzi, la spesa dovrebbero pagargliela i single che non hanno voluto figli.

Perchè come è stato scritto ancora da voi in un recente articolo non dobbiamo mai più pensare che «sei tu che hai voluto i figli e quindi ora ti arrangi», ma «grazie che hai scelto di crescere una famiglia, so che la tua strada è impegnativa, vuoi un aiuto? Perchè domani i tuoi figli tireranno avanti il mondo che sosterrà anche me che non ne ho avuti».

Una mamma (di due figli di 12 e 14 anni).

Non limitarti a leggere

Sui temi della famiglia, come del lavoro, della vita religiosa e della partecipazione in queste settimane è in corso in Bergamasca una grande indagine sociologica, voluta da L’Eco di Bergamo e in collaborazione con i sociologi dell’Università di Bergamo.

Per capire come e quanto siamo cambiati negli ultimi anni.

Per questo i collaboratori de L’Eco stanno realizzando tante interviste, incontrando testimoni della vita delle nostre comunità. Accompagniamo l’indagine con diversi contributi, ospitando sulle pagine e sul sito de L’Eco pareri, domande e riflessioni. Insieme al contributo di chi, bergamasco, oggi vive e lavora all’estero.

Ma soprattutto chiediamo anche a te di comunicarci il tuo pensiero. Vogliamo conoscere le tue idee, per costruire insieme a te una “missione” per il territorio bergamasco. Puoi scrivere a: [email protected].

Bergamo senza confini

Ogni settimana uno spazio riservato ai tanti bergamaschi in giro per il mondo, e che si confrontano con valori ed esperienze diverse. Le loro proposte e riflessioni sono un contributo alla nostra indagine.

1 - «Gran lavoratori, precisi e creativi. Così siamo conosciuti nel mondo»
Carolina, da Geelong (Australia)

Essere bergamasca è una grande parte della mia identità e del mio bagaglio culturale. Non ne ho dubbi.
Ho vissuto per molti anni in provincia di Bergamo e ne ho tanti bei ricordi: la piazza del paese dove sono nata e cresciuta, le passeggiate nei boschi in cerca di castagne, le biciclettate lungo il Brembo e l’Adda, le sagre di paese, le mattinate al mercato e naturalmente i profumi della cucina di mia madre. Soprattutto durante le feste, non mancavano mai i casonsei, la polenta, il coniglio e altre prelibatezze nostrane. Da italiana all’estero, rifletto spesso sul potere della nostra cucina regionale nel farci sentire a casa, ovunque ci troviamo.

Che cosa caratterizza noi bergamaschi? Penso che siamo conosciuti come gran lavoratori, precisi nei dettagli e con molta creatività e innovazione. Siamo gente determinata. Ciò non vuol dire che siamo freddi e distanti come magari ci vorrebbero alcuni stereotipi e pregiudizi: al contrario, ci si aiuta molto nel momento del bisogno e non manca mai la solidarietà, soprattutto nel volontariato.

In aggiunta, penso che siamo persone molto legate alla nostra terra, e che cerchiamo di valorizzarne i tesori culturali e preservarli per le generazioni future. Nel mio paese d’origine, Bonate Sotto, la Basilica di Santa Giulia è un esempio del nostro patrimonio storico, ed immagino che ogni angolo della nostra provincia possa vantare simili ricchezze. Non a caso anche l’Unesco riconosce le bellezze della nostra città, avendo dichiarato le mura di Città alta patrimonio mondiale… Lavorando a contatto con molti australiani che viaggiano spesso in Italia in vacanza, mi piace pensare di aver in qualche modo contribuito alla loro scelta di includere Bergamo e provincia nei loro itinerari. Devo ancora trovare qualcuno che abbia visto Città alta e non se ne sia innamorato.

Sebbene l’Australia sia diventata negli ultimi due decenni casa mia, Bergamo rimane la città delle mie radici, e per questo la tengo nel mio cuore. Inoltre, sentirsi vicini, soprattutto oggi, è molto più facile rispetto al passato. La tecnologia permette di rimanere al corrente dei cambiamenti che coinvolgono il mio paese d’origine, per esempio leggendo L’Eco online, ed è più semplice sentirsi spesso con i propri cari.

In Australia ho cambiato drasticamente obiettivi lavorativi. Da impiegata in Italia, mi sono lanciata in una nuova carriera e ho iniziato a fare volontariato, ed in seguito lavoro retribuito, offrendo ripetizioni d’italiano a studenti australiani.

Piano piano, soprattutto grazie al passaparola, ho avuto sempre più richieste e ciò mi ha spinta ad aprire una vera e propria scuola, per offrire corsi di lingua e cultura italiana sia a studenti di livello primario e secondario che ad adulti. Aprire e gestire un’azienda di questo tipo, in pratica reinventandomi a 42 anni, cosa impensabile per me pre-partenza, mi ha aiutata molto a credere in me stessa e mi ha permesso di conoscere tantissima gente interessante con cui condividere la mia cultura e lingua. Avendo mantenuto il mio accento bergamasco, mi piace pensare ai tanti studenti australiani in giro per l’Italia con una cadenza simile alla nostra...

Fra le mete preferite di questi viaggiatori dagli antipodi, è di spicco ovviamente Città Alta, con l’immancabile giro in funicolare. Molto apprezzati anche siti come Crespi d’Adda, il Lago d’Iseo e i vari percorsi ciclabili ed escursionistici in giro per la provincia, oltre che le Terme di San Pellegrino. Proprio la scorsa settimana, una mia studentessa mi ha inviato un video dei rintocchi del campanone di Piazza Vecchia. Sono sempre forti emozioni.

Quando ancora c’erano i miei genitori, alcuni miei studenti sono andati a conoscerli a Bonate Sotto. Mentre gli ospiti australiani si sono gustati un bel piatto di pasta, a mio padre è toccato assaggiare la Vegemite (una crema di lievito di birra consumata tipicamente con pane e burro a colazione in Australia, raramente apprezzata da chi non la mangia dall’infanzia…). Scambi di pietanze a parte, un’esperienza di scambio culturale di questo tipo è veramente importante, fa sentire più vicini popoli altrimenti molto lontani.

La vita a Geelong mi si addice, e mi sento proprio bene, ma ciò non vuol dire che non mi manchi mai nulla di Bergamo. Qui non abbiamo le montagne innevate (almeno, non vicino a dove abito) e soprattutto a Natale, si percepisce molto la differenza del periodo estivo. Anche noi abbiamo le luci natalizie, ma non ce le godiamo appieno visto che c’è ancora chiaro fino alle nove di sera. È un esempio banale, ma sono spesso queste piccole cose che ogni tanto ti fanno pensare a ciò che si ha lasciato.

In questi 21 anni, ho avuto la fortuna di rientrare spesso per trascorrere le mie vacanze in Italia. Il viaggio è lungo (24 ore, e anche di più, a seconda degli scali), stancante e non per niente conveniente, soprattutto in seguito alla pandemia, ma ne è sempre valsa la pena, sfruttando ogni occasione per passare tempo prezioso con i miei cari, soprattutto i miei genitori, che sono venuti a mancare di recente.

Se qualche lettore avesse in mente di fare un giro in Australia, vi posso assicurare che troverete molta bellezza in questo paese: è un’isola-continente ricca di contrasti: ci sono metropoli frenetiche e ricche di opportunità (come Melbourne o Sydney), ma anche realtà rurali molto affascinanti, e paesaggi vari, dalle selvagge costiere oceaniche all’arido deserto nell’Outback, montagne ricoperte di eucalipti, e spiagge bianche contornate da barriere coralline e foreste pluviali. È un paese che offre molto a chi vuole mettersi in gioco e sono molto grata delle opportunità che ho ricevuto.

Bergamo farà sempre parte di me e faccio tesoro di tutto ciò che mi ha dato; attraverso il lavoro che svolgo, cerco di valorizzarla e farla conoscere a sempre più persone.
Carolina Locatelli (Australia)

2 - «Fate conoscere meglio le vostre (nostre) bellezze»
Massimo, dalle Isole Canarie

Vi ringrazio per la possibilità di esprimere nuovamente l’amore verso Bergamo e i bergamaschi.

Il Covid ha avuto un impatto devastante sulle nostre vite in tutti i campi, ci ha insegnato a valorizzare molti particolari della nostra vita che diamo per scontato ogni giorno, come la nostra libertà e di ringraziare ogni giorno il poter stare accanto alle persone che amiamo. Dal punto di vista economico per noi imprenditori è stata una grandissima sfida, e ancor oggi, possiamo dire, ne paghiamo le conseguenze. Quest’ultimo particolare è molto importante: avere una “mentalità bergamasca” mi ha aiutato molto, mi ha insegnato ad indietreggiare solo per prendere la rincorsa. Il tirarsi su le maniche è lottare per risolvere i problemi: una caratteristica tutta bergamasca.

Lavorando nel turismo, posso solo consigliare a Bergamo di fare più pubblicità alle bellezze turistiche da visitare di città e provincia; la gastronomia sarebbe un punto forte, per esempio, con il made in Italy. Inoltre vi sono molte realtà di piccole aziende bergamasche da poter pubblicizzare con eventi all’estero tramite associazioni o Camere del Commercio. Un saluto.
Massimo Testa (Fuerteventura, Canarie)

3 - «Il valore e il legame della nostalgia»
Pierluigi, da Amsterdam (Olanda)

Esistono due tipi di identità: quelle che scegliamo e quelle che non dipendono da noi. La mia identità bergamasca appartiene naturalmente al secondo tipo. Non ho scelto di nascere e crescere nella provincia bergamasca, così come non ho scelto di nascere maschio o con gli occhi verdi. Possiamo scegliere, è vero, di affermare o rifiutare le identità imposte dal caso.

Quando sono andato a Milano per i miei studi universitari ho scelto di occultare la mia identità bergamasca sforzandomi di perdere l’accento, di cui mi vergognavo. Ci sono riuscito. Nessuno, quando mi sente parlare, indovina più che vengo da un paesino delle prealpi Orobie. Ho conservato un generico accento lombardo.

Oggi, con il senno di poi, non farei più questo sforzo. Un accento non è qualcosa di cui ci si debba vergognare né qualcosa di andare fieri. Parlo le lingue straniere con un forte accento italiano e non me ne vergogno.

Mi sono trasferito all’estero tanti anni fa, alla fine del secolo scorso. Tra poco gli anni vissuti all’estro supereranno quelli vissuti in Italia.

Quando si vive in un altro paese c’è poco spazio per l’identità bergamasca. Bisogna già fare i conti con l’identità italiana che gli altri, gli autoctoni, ti ricordano in continuazione. In genere i nativi si aspettano che tu confermi i loro cliché sugli italiani. E se non ti importa niente di calcio, se non gesticoli quando parli, se non parli come i personaggi de Il Padrino, se non sei estroverso e istrionico, allora vedi dipingersi sulle facce dei tuoi interlocutori delusione o peggio sospetto. Figurati se puoi metterti a spiegare cosa distingue il carattere del bergamasco prealpino da quello del partenopeo o del friulano.

Anche se Bergamo ha avuto una triste notorietà durante il Covid, la maggior parte delle persone che incontro non ci è mai stata e non ha idea di dove si trovi. Molti confondono Bergamo con Bolzano e mi chiedono se la mia lingua materna sia il tedesco. Chi vive in Italia non deve, grazie a Dio, fare i conti tutti i giorni con la propria identità italiana, benché i politici di destra, e ormai anche quelli di sinistra, tendano a fare dell’italianità una questione centrale e urgente.

In cosa consiste il mio “essere bergamasco”? Non è agevole rispondere. Nel fatto che mi piacciono la polenta, il salame, i cotechini, la formagella nostrana, la grappa? Nel fatto che quando mi arrabbio ogni tanto mi scappa un’imprecazione in bergamasco? Nel fatto che capisco il dialetto anche se non lo parlo? Nel fatto che lì ci sono i miei genitori e la loro casa? Tutte queste cose insieme concorrono certamente a formare la mia identità bergamasca.

Ma forse c’è un’altra cosa ancora, più essenziale. Chi vive lontano dal posto in cui è nato, quando ci ritorna, spesso non lo riconosce. I vecchi sono morti, i giovani sono degli sconosciuti. I negozi di una volta hanno chiuso, nuove case sono state costruite. Chi vive lontano dal posto in cui è nato sa che ritornare è possibile solo nello spazio, non nel tempo.

La “bergamaschità” o, più esattamente, la “soveresità” per me forse è quell’impossibile ritorno nel tempo, quel dolore del ritorno che ha nome nostalgia.
Pierluigi Lanfranchi (Amsterdam)

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