Si è spenta Mila SchonLa sua prima collezione 50 anni fa

«Io noto solo il brutto delle cose, eliminandolo rimane il bello». È questa una delle frasi più celebri di Mila Schon, «la signora dell’eleganza», scomparsa nella notte tra il 4 e il 5 settembre nella sua tenuta vinicola piemontese a 92 anni.
Il suo stile, noto per l’essenzialità e la pulizia delle linee, conquistò le donne più celebri di un’epoca, da Jacqueline Kennedy a Ira Furstenberg, da Mina e Marella Agnelli. 

Milanese d’adozione, Mila Schon, da nubile Nutrizio, era nata nel 1916 a Traù, in una piccola isola della Dalmazia, e si era trasferita a Milano nel 1940, al seguito del fratello Nino, nominato direttore della «Notte». In quel periodo, la futura stilista lavorava in un’azienda farmaceutica, e durante la guerra, sfollata a Novara, si sposò con il commerciante di tessuti Aurelio Schon da cui, tre anni dopo, ebbe il suo unico figlio Giorgio. Dopo dodici anni di matrimonio, la separazione e la conseguente ricerca di un lavoro, per mantenere l’alto tenore di vita cui erano abituati lei e il figlio. Mila Schon non sapeva nè tagliare nè cucire, ma era una donna di mondo, con un gusto innato, affinato dalle frequenti visite negli atelier parigini, così decise di buttarsi nella moda. Con grande passione e tenacia: il suo debutto, con una sfilata a Milano fu esattamente 50 anni fa, nel 1958, con la nascita di uno stile elegante che rifuggiva dall’opulenza esibita dell’alta società romana e non rincorreva la frivolezza giocosa di quella parigina.

Mentre a Parigi dominavano le forme a corolla di Dior e le costruzioni volumetriche di Balenciaga, a Milano Mila Schon mandava le signore alle «prime» della Scala con capi dalle linee rigorose, nitide, tutti fatti a mano. Proprio la ricerca di questo candore formale spinse la creatrice nella sperimentazione di materiali inediti, tra cui quello che, poi, diventò il suo marchio di fabbrica: il «double», creato con Agnona, che prevedeva l’accoppiamento di due tessuti e permetteva l’uso di cuciture nascoste e nervature.

Negli anni ’60 e ’70, il suo stile diventa ancora più rigoroso, ogni orpello decorativo o strutturale viene eliminato: gli abiti, con l’enfasi data alla sagoma dalla monocromia,
assumono un carattere futuristico, quasi spaziale. Sono i decenni segnati dal rapporto con l’arte, dall’amicizia con il fotografo Ugo Mulas, con cui frequenta le gallerie milanesi scoprendo i tagli di Lucio Fontana, che trasferisce sui suoi capi sotto forma di tagli «al vivo», ma anche i cerchi concentrici delle opere di Kenneth Noland, che diventano intrecci geometrici bicromatici. Uno stile che sempre è stato caratterizzato dal rigore e dalla semplicità, dando vita a modelli di sofisticata eleganza.(05/09/2008)

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