«La mia vita? Come i cappellini
Mi sta addosso una meraviglia»

«La moda? Ognuno se la fa da sé. È fascino e frenesia, è un grande amore. Io la faccio a modo mio, me la costruisco su misura». Ecco «la» Giuliana, in una veste diversa dal solito, alla scoperta della sua passione. Anzi delle sue passioni, che passano dai cappellini vintage alle borse.

«La moda? Ognuno se la fa da sé. È fascino e frenesia, è un grande amore. Io la faccio a modo mio, me la costruisco su misura». Ecco «la» Giuliana, in una veste diversa dal solito, alla scoperta della sua passione. Anzi delle sue passioni, che passano dai cappellini vintage appesi ai muri della storica osteria a una serie di borse, bauli e borsette di tutte le epoche che svela nella sua grande casa eclettica, in vetrinette disseminate nel lungo corridoio, nella sua camera da letto e in ampi armadi che avvolgono l’appartamento baciato da un tiepido sole invernale.

«La prima borsa me la sono guadagnata a vent’anni, coi soldi che mettevo da parte con il lavoro da vetrinista – ricorda –. In giro per gli alimentari della città e provincia per la Perugina e la Vecchia Romagna: andavo a far le vetrine coi prodotti. Quanta polvere che c’era, la sento ancora sotto il naso e sui polpastrelli, e mi ricordo anche quei panini alla mortadella che mi mangiavo alla fine del lavoro». E così, tra vetrinista ed estetista, Giuliana inizia a collezionare borse, quelle che vedeva sfogliando le riviste di moda: «Era la fine degli Anni Sessanta e il venerdì e sabato lavoravo da una parrucchiera di via Gaudenzi: me le ricordo ancora le mie vecchiette che impiastravo di creme e trucchi sotto al casco della messa in piega. Uscivano felici e bellissime».

Esuberante, Giuliana, se la ride dietro al vecchio bancone della sua Trattoria d’Ambrosio, in via Broseta, un nome che a Bergamo conoscono tutti. E poi quel sorriso malizioso e quei capelli birichini da maschiaccio, anche lei un filo di trucco non lo dimentica mai. Ti guarda dietro gli occhialetti bianchi di Tiffany & Co. e già ha capito come prenderti, lei che è un vulcano di parole, di dettagli, circondata dalle sue collezioni. «Scelgo con istinto, mi circondo di colore, amo raccogliere storie, accumulare frammenti di vita. Io mi racconto così, con gli abiti che la zia Rosetta mi faceva copiando da Mani di Fata e Burda. Poi, coi miei primi risparmi, sono finita a Milano a comprarmi la prima Louis Vuitton».

Passione dopo passione, i cappellini li scopre a un mercatino di Nizza vent’anni fa: «Ero con mia mamma Anna: mi innamorai di uno nero con la veletta di Chanel, poi arrivò quello a righe di Dior». Inizia per caso, questa passione di velluti e piume, veli e pizzi. Inizia con un chiodo nel muro bianco: «E finisce che arrivano clienti e amici che me ne portano sempre di nuovi. Io la sera li indosso, li faccio danzare per le sale: bisogna pur farli rivivere. Li presto pure per i matrimoni».

Addosso a lei e alla sua verve, baschetti verde smeraldo e bombette. Ma c’è anche un cappello da cowboy rosa e un colbacco rivisitato. Arrivano da mercatini d’antan, da camerini di teatro, da vecchi palcoscenici dell’opera. E canta la Giuliana, canta mentre sorveglia la cucina, e se la ride nelle sue ballerine d’oro, col grembiule bianco e l’abito rosso Valentino.

Nei cassetti guanti di tutti i colori, nelle scarpiere stiletti bon ton, negli angoli di tutta la casa cappelliere Vuitton, borsette di Moschino, tra una Roberta Di Camerino e una Chanel argento. Non si ferma mai. In giro per l’Europa a far ricerche, tra mercatini di tutta Italia, una passione per la Francia e un progetto: «Rue Cambon 31, a Parigi: dovrò pure andarci a vedere quella scala dove Coco si sedeva mentre sfilavano le sue mannequin». Corri Giuliana, corri. Irrefrenabile, eccentrica, ma mai in dubbio: «Mai tentennare – ti dice lei a mo’ di monito –. L’ho imparato nella vita». Anche nel dolore e nella malattia: «Mia zia Rosetta me lo diceva sempre: mai essere indecisi e mai raccontare la sofferenza. Non serve a niente e il dolore porta dolore». Lei che non si sente una sopravvissuta, ma una che l’ha scampata grossa, che ci sta attenta e che il dolore lo trasforma in amore. «Parliamo di quello, godiamocela la vita».

Generosa Giuliana, irrefrenabile. Perché mentre ordina la scarola e gestisce l’ordine del vino per la trattoria, ha già preparato la donazione da inviare in Africa per una bambina, la cui storia le è arrivata all’orecchio.

Sorride Giuliana, e prova i cappellini: i primi sette sono francesi, gli altri si raccontano tra broccati, lane e velette. «Almeno questi li indosso, le borse me le godo poco, sempre qui tra i tavoli». Una presenza fissa, «comanda la Giuly» dicono le sue collaboratrici in cucina e lei è lì che veglia ogni angolo, che mangia col piatto in mano in corridoio i suoi famosi casoncelli, che sistema uno dei tanti soprammobili. «Sono innamorata della vita» lo dice tutto d’un fiato. E un po’ anche delle sue borse, alla faccia di tutte le donne che hanno questa passione tutta al femminile: «Pensare che anche mia mamma me ne regalava di bellissime. L’ultima fu la Kelly di Hermès: lei non sapeva neanche cosa fosse, me la ordinò tramite un’amica e c’era pure la lista d’attesa».

Chissà come avrà rimbrottato la signora Anna, ma quella Hermes in denim blu ha un valore speciale in quella casa di passioni e storie, tra putti alati, una collezione di zuppiere che vengono dal tutto mondo – con pezzi pure di Versace e Cartier – e acquasantiere che sono disseminate in una stanza del ristorante. «E le mie poie le hai viste?» domanda. Galline in ceramica, un pollaio di colori che lei continua a ripopolare «in onore di un caro amico che non c’è più, Francesco Reither. Fu lui un giorno a dirmelo: “Con tutte queste donne sembra di essere un pollaio”, rideva lui». Giuliana ricorda e un po’ di malinconia le si aggrappa addosso. Poi corre in cucina, controlla la polenta, fa partire la musica da un carillon attaccato al muro e ritorna nei ricordi: «Di quel pallone che Louis Vuitton nel 1998 ha realizzato in edizione limitata». La Soccer ball, a lei tifosissima non poteva passare inosservata: «E me la sono pure portata allo stadio – ricorda –. Io non me le perdo mai le partite in casa dell’Atalanta. Sono un’ultrà convertita alla tribuna». E già te la vedi a fare il tifo in cappottino Prada e una borsetta a mano, molto anni Cinquanta, ma con un tocco di esuberanza: «L’ho detto, io interpreto mode e costumi, fosse per me andrei in giro con gli abiti dell’Ottocento, tra broccati, stecche e bustini».

E a vederla tra i tavoli, con la tradizionale folla del mezzogiorno viene da chiederglielo: «Sei stanca Giuliana?». Si ferma e ti guarda con quel broncio irriverente da bambina cresciuta: «Ragazza mia, a 65 anni, neanche ci penso alla stanchezza. C’è così tanto da fare in questa vita meravigliosa».

È un inno alla vita, il suo. Con le maniche di camicia arrotolate, il sorriso sulle labbra ritoccate da rossetto e matita, e una cappellino con la veletta. Madame Coco ne andrebbe fiera, per due donne non poi così diverse. Forti, estremamente appassionate, che da sole si sono costruite un mondo. «Il mio è fatto di profumi e gente comune. È tutta la mia vita – aggiunge –. E te lo dico con grande soddisfazione: mi sta addosso che è una meraviglia».

Fabiana Tinaglia

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