Lorella, sarta tardiva
Dagli stracci ad A ni ma

Cuce insieme emozioni, le lega a dei fili, ci mette la sua passione. E anche parecchia grinta. Perché Lorella Bellelli sa perfettamente cosa vuole: cucire abiti.

Cuce insieme emozioni, le lega a dei fili, ci mette la sua passione. E anche parecchia grinta. Perché Lorella Bellelli sa perfettamente cosa vuole: cucire abiti.

Che sono incantati, che raccontano tutta una vita: «Ci sono voluti 54 anni per diventare quella che sono» dice. «A ni ma», scritto così, perché questo nome non è da cucire: «Ni» come Nicola, «Ma» come Marcello, i due figli grandi che da mamma l’hanno trasformata in sarta. Si definisce così, «sarta tardiva», anche se stilista inizia a calzarle a pennello. Ha 54 anni e in una soffitta di Dalmine piena di luce ha creato un mondo di stoffe che straripano dai sacchi colorati. E lei, con gli occhialini tondi e il viso da ragazzina sta chiusa lì, la notte, a cucire: «Colpa di mio marito – sorride -, io prima dipingevo solo mobili. La sarta era mia madre, io non avevo mai attaccato neppure un bottone». Poi i figli crescono e il marito le regala una macchina per cucire e lei inizia a confezionare strisce di stoffa. «Poi ci ho preso gusto» ride. Iniziando a creare un po’ come le pareva, con quel fare e disfare ribelle che la contraddistingue: istintiva, i suoi primi abiti sono collage di stoffe. «Unisco tessuti diversi, per forma, colore e anche materiale» racconta. Sono gli «Stracci di Lorella», che la portano a creare collezioni di abiti realizzati per il mondo del teatro: «Ma poi il “fare il costume” si trasforma nel “fare l’abito”, con quell’assemblare artigianale, che va a pelle, a istinto: Impunture, ricami, patchwork irregolari, disegni a mano, sfilature. Mi affascina la mescolanza di stoffe» spiega.

Dagli stracci si passa così ad «A ni ma», con linee più mature: «C’è più rigore nelle scelte dei tagli, ma finisce sempre che questa pulizia del fitting si riveli a tratti folle». E la gonna in tela vela si fa reversibile con la seconda sottana a quadretti vichy, il cotone felpato dell’abito è fiorato da un lato ma è pure rigato dall’altro, così come il cappotto in lana cotta dal taglio rigoroso finisce per essere decorato con uno filo di spago artigianale che lo ricama lungo tutta l’abbottonatura. «Scelto le stoffe, seguo le ispirazioni del momento. Amo i fiorati, le fantasie. Uso molto anche il nero. Niente cartamodelli, taglio secondo quanto mi dice il cuore: le mie misure sono compiacenti con le forme soffici di ogni donna – dice -. Le emozioni dipanano la mia collezione, tra felpe con robot dipinti a mano, kimoni broccati e gonne ampie».

Pezzi unici, sartoriali perché diversi tra loro nei dettagli, con il suo nome che inizia a correre lungo la Rete. A Bergamo i suoi abiti sono da Flamingo, in piazza Pontida, ma anche a Dalmine da Boho Chic, con l’amica Agnese, sempre presente e grande «confronto critico». E se davvero c’è chi pensa che avrebbe potuto restarsene in panciolle, lei proprio non ci sta: «Mi diverto troppo. Non posso smettere». E allora cuce e ride, con i capelli mossi e ribelli, con quel fare sbarazzino. Poi vedi gli abiti: le sete damascate, le suggestioni corrono veloci. E ti sembra già primavera.

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