Tre anni fa il treno deragliato a Pioltello
Valentina, medico come la mamma morta

La figlia di Ida Milanesi, neurologa scomparsa nel disastro, lavora in un «Covid hotel». Al funerale aveva affermato: sei il mio esempio.

Ha voluto seguire le orme della madre, morta nel deragliamento ferroviario il 25 gennaio di tre anni fa a Pioltello, per diventare medico, e ora sta combattendo in prima linea la battaglia contro il Covid. E, proprio perché impegnata, Valentina Tagliaferri, 26 anni, figlia di Ida Milanesi, la neurologa di Caravaggio che lavorava all’Istituto Besta di Milano, oggi (lunedì 25 gennaio) non sarà presente alla Messa nella chiesa parrocchiale di Caravaggio in memoria delle vittime. Vi parteciperà invece il marito di Ida Milanesi, Marco Tagliaferri, nefrologo dell’ospedale di Treviglio.

Per i parenti delle tre donne vittime del deragliamento del treno regionale partito da Cremona e diretto alla stazione di Milano Porta Garibaldi, (oltre a Ida Milanesi, Pierangela Tadini anche lei di Caravaggio, e Giuseppina Pirri di Capralba nel Cremonese) tornare con la memoria all’incidente rappresenta sempre una ferita che si riapre: «Dopo quanto accaduto - parla il dottor Tagliaferri - non abbiamo più voluto sapere nulla della vicenda e nemmeno di questioni di argomento ferroviario». L’iter giudiziario per individuare le responsabilità di quanto accaduto sta comunque, continuando.

«Sei il mio esempio»

Nei prossimi giorni il Tribunale di Milano dovrà decidere in merito alla costituzione delle parti civili nel procedimento penale in corso e se mandare a processo i dieci imputati: «Come ci hanno spiegato - sostiene il medico - non c’era bisogno che ci costituissimo parte civile perché siamo già stati risarciti. Comunque sia ho dato mandato a un avvocato affinché segua per me il processo. Finché non ci sarà una sentenza non voglio puntare il dito contro nessuno. Mi aspetto, però, che i responsabili di quanto accaduto vengano individuati e che paghino di conseguenza». Chi non vuole sapere più nulla della vicenda è anche la figlia Valentina che tre anni fa, al funerale della madre, le aveva dedicato queste parole: «Sei il mio esempio». Un esempio che sta continuando a seguire: laureatasi in Medicina la ventiseienne deve iniziare la specializzazione all’ospedale Humanitas di Rozzano, nel Milanese.

«Nel frattempo - rivela il padre - sta lavorando a Milano in un “hotel Covid” dove vengono trasferite dall’ospedale le persone guarite dal covid. Al suo interno vengono anche svolti i tamponi e somministrati i vaccini. Domani (oggi per chi legge, ndr) non potrà essere presente alla Messa per la ricorrenza dell’incidente proprio perché dovrà lavorare. Ma non importa: è felice di quello che sta facendo e di seguire le orme della madre nel mettersi a disposizione degli altri».

Paura di viaggiare

E non parteciperà anche Roberta Bozza, 45 anni, insegnante e consigliere comunale di Calvenzano. Anche lei era sul regionale Cremona-Milano Porta Garibaldi deragliato tre anni fa e, a causa dell’incidente, aveva riportato serie ferite fisiche ma anche psicologiche. La sua testimonianza dimostra quanto siano ancora pesanti le conseguenze del trauma. L’insegnante, all’epoca lavorava in una scuola paritaria di Milano: «Dopo essere stata operata alla gamba e aver completato la riabilitazione - sostiene - ero tornata al lavoro in giugno. Ma non volevo perché avevo paura di prendere il treno. Ho dovuto farlo ma ogni volta che sentivo una frenata o un sobbalzo della carrozza era terribile quello che provavo. Così ho iniziato a cercare un altro lavoro. C’è voluto un po’ ma ho tenuto duro e alla fine ce l’ho fatta».

Bozza dallo scorso settembre lavora all’istituto Zenale di Treviglio. «Da quando non devo più prendere il treno mi è cambiata la vita - afferma - anche se ancora non ho smesso di andare dallo psicologo». Anche lei, dopo essere stata risarcita, non ha voluto più seguire delle evoluzioni sul piano giudiziario circa il deragliamento. «Sono scettica - conclude - a mio avviso non porteranno a molto. Comunque sia, per me è ormai tutto un capitolo chiuso. Anche se da tre anni a questa parte, quando arriva il 25 gennaio non posso evitare di sentirmi male».

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