Pensioni a rischio, in 10 anni «persi» oltre 5 mila giovani

LO STUDIO. Secondo la Cgia di Mestre è questo il saldo provinciale nella fascia d’età tra 15 e 34 anni: «Sempre più difficile rimpiazzare chi va in pensione».

Demografia fa rima con economia. Il riflesso della crisi della natalità è sempre più forte sul mercato del lavoro, dunque sulla sostenibilità del welfare. Con sempre meno giovani che lavorano e sempre più pensionati a riposo, l’equilibrio del sistema previdenziale diventa sempre più fragile. La questione è rilanciata anche da un nuovo studio della Cgia di Mestre, dedicato in particolare alla fascia dei giovani tra i 15 e i 34 anni, cioè quelli che si affacciano al mercato del lavoro. Se nel 2013 in Bergamasca c’erano 238.568 giovani di quell’età, nel 2023 i 15-34enni sono calati a quota 233.344: 5.224 giovani, cioè un calo del 2,2%. E benché il segno sia «meno», Bergamo regge meglio di gran parte dell’Italia: a livello nazionale il calo medio dei giovani tra i 15 e i 34 anni è stato infatti del 7,4% (-967mila giovani di quest’età), con un tracollo soprattutto nel Mezzogiorno (-15,1%, il dato peggiore è il -26,9% della provincia del Sud Sardegna). Solo 14 province in tutta Italia hanno visto crescere i giovani di quest’età (in testa c’è Trieste, +7,9%), prevalentemente grazie ai flussi migratori.

Saldo negativo anche in futuro

L’analisi dell’Ufficio Studi della Cgia mette dapprima sotto la lente l’impatto per le imprese: «Questa contrazione nella fascia di età più produttiva della vita lavorativa sta arrecando grosse difficoltà alle aziende italiane. Molti imprenditori infatti faticano ad assumere personale, non solo per lo storico problema di trovare candidati disponibili e professionalmente preparati, ma anche perché la platea degli under 34 pronta ad entrare nel mercato del lavoro si sta progressivamente riducendo. Insomma, la crisi demografica sta facendo sentire i suoi effetti e nei prossimi anni la rarefazione delle maestranze più giovani è destinata ad accentuarsi ulteriormente». La Cgia guarda infatti ad alcune stime sui flussi di pensionamento nel breve termine, rilevando che «tra il 2023 e il 2027 il mercato del lavoro italiano richiederà poco meno di tre milioni di addetti in sostituzione delle persone destinate ad andare in pensione A legislazione vigente, pertanto, nei prossimi 5 anni quasi il 12% degli italiani lascerà definitivamente il posto di lavoro per aver raggiunto il limite di età. Con sempre meno giovani destinati a entrare nel mercato del lavoro, “rimpiazzare” una buona parte di chi scivolerà verso la quiescenza diventerà un grosso problema per tanti imprenditori». Ma anche per un sistema previdenziale sempre più oneroso. Tanto per restare alla Bergamasca il «conto», secondo i dati Inps relativi al 2021, viaggia verso i 6 miliardi di euro con una crescita media di circa il 2,9% ogni anno.

Migrazioni e squilibri territoriali

Alcune aree del Paese vivono una vera e propria «desertificazione giovanile». Al di là delle differenze in fatto di natalità, le migrazioni interne dal Sud al Nord sono tornate a rafforzarsi, così come gli immigrati stranieri tendono a stabilirsi nei contesti più produttivi. Così tra 2013 e 2023 il calo dei giovani tra i 15 e i 34 anni è stato «solo» dell’1% nel Nord-Ovest e appena dello 0,5% nel Nord-Est, mentre il Centro registra un calo del 6,6% e il Mezzogiorno del 15,1%. La Lombardia rimane leggermente in positivo (+0,4%, pari a 8.040 giovani 15-34enni in più), mentre la miglior regione è l’Emilia-Romagna (+2,1%, +18.299 giovani).

«Oltre ad avere pochi giovani, il tasso di disoccupazione giovanile e l’abbandono scolastico sono elevati, soprattutto nel Mezzogiorno – rimarca la Cgia –. Insomma, i giovani italiani sono in calo, con un livello di povertà educativa allarmante e lontani dal mondo del lavoro. Un responso che emerge in maniera evidente quando ci confrontiamo con gli altri Paesi europei. È un quadro desolante che rischiamo di pagare caro se come sistema-Paese non torneremo ad aumentare il numero delle nascite, a investire maggiormente nella scuola, nell’università e, soprattutto, nella formazione professionale».

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