Un «grazie» in musica: la canzone dedicata a un bimbo malato e all’ospedale di Bergamo

SU «SPOTIFY». Giovanni Bruno, 29 anni, ha fatto il tirocinio da specializzando al «Papa Giovanni». «Il piccolo Manuel mi ha ispirato».

Una canzone per un bimbo con una grave patologia cardiaca, Manuel, 6 anni. E per «tutti i “pittori di esistenze” dell’Unità di Chirurgia, Rianimazione e Cardiochirurgia pediatrica dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo»: si intitola «Stazione Arcobaleno», sta spopolando sulla piattaforma musicale «Spotify», dove è uscita il 6 novembre, e l’autore è un giovanissimo medico, specializzando in Rianimazione e Anestesia, che è anche pianista.

«Diciamo che mi piace definirmi medico cantautore: ho cominciato durante il Covid a scrivere pezzi, un modo per addolcire il dolore, la sofferenza e lo choc vissuti con la pandemia – spiega Giovanni Bruno, 29 anni, milanese, che all’ospedale «Papa Giovanni» ha effettuato 5 mesi di tirocinio per la sua specialità e che ora è a Boston, all’Harvard Medical School, per una borsa di studio –. Poi, la “scintilla” di ispirazione per questa canzone è nata dopo l’incontro con il piccolo Manuel, in ospedale a Bergamo: il bambino, bresciano, era ricoverato al ”Papa Giovanni” per una grave patologia cardiaca. Sono entrato nella sua stanza per una visita e l’ho visto lì, seduto a una pianola. È stata una folgorazione, un motivo per riflettere sulla nostra professione, sul luogo in cui mi trovavo, su quanto questi pazienti possono fare per noi medici, che li curiamo. Io credo che Manuel abbia fatto per me, per la mia anima, molto più di quanto ho potuto fare io per lui. Così come i maestri della medicina che ho incontrato a Bergamo sono stati per me fondamentali: non solo per le conoscenze e le competenze che mi hanno trasmesso, ma anche per l’umanità di chi al “Papa Giovanni” lavora».

Ora è a Boston, la lettera ai colleghi di Bergamo: «Sono debitore per ciò che mi avete trasmesso»

Dopo l’incontro con il piccolo Manuel, e dopo averlo visitato, Giovanni Bruno si è seduto con il piccolo alla pianola - «ho poi scoperto che quello strumento musicale era fornito dalla “scuola in ospedale”, che si occupa dei bimbi ricoverati sia per le lezioni scolastiche sia per altre attività, e questo mi ha ulteriormente commosso» – e ha suonato insieme a lui. «La stessa sera, tornato a casa, ho scritto la canzone. Si intitola “Stazione Arcobaleno”. Mentre componevo, avevo davanti a me gli occhi di quel bambino, Manuel ha occhi che ascoltano e interrogano senza fare rumore. E a me quello sguardo ha permesso di riflettere sulla mia professione».

La lettera per l’ospedale

Insieme alla canzone - che nell’immagine che la promuove sulla piattaforma «Spotify» è accompagnata da un disegno, un cuore coloratissimo ma pieno di cerotti, opera di un’altra bimba curata al «Papa Giovanni» - Giovanni Bruno ha anche scritto una lettera che ha inviato all’ospedale «Papa Giovanni»: quasi un biglietto che accompagna un regalo, per spiegare il perché della canzone e della dedica.

«A noi medici viene ripetuto quotidianamente quanto sia importante non legarsi ai propri pazienti – si legge nella lettera di Giovanni Bruno –. Per quanto condivida la necessità costruttiva di edificare muri interiori, trovo fondamentale anche erigere un ponte sul fossato che separa l’esistenza altrui dal nostro castello di razionale e lucida competenza scientifica, così da ricevere ed elargire quei rifornimenti interiori che rendono umana la nostra professione. “Stazione Arcobaleno” è un ponte che anche Manuel inconsapevolmente ha contribuito a erigere con la sua profonda presenza.

Questo brano è dedicato a lui e alla sua famiglia, ma anche a tutti i “pittori di esistenze” dell’unità di Chirurgia, Rianimazione e Cardiochirurgia pediatrica dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, che ho frequentato come specializzando di Anestesia e Rianimazione. In un mondo dove la dialettica del negativo impera, dove ciò che “non funziona” tuona sempre con voce più forte del suo contrapposto silenzioso e luminoso, con questo brano, nel mio piccolo, voglio non solo dirlo, ma cantarlo, che c’è tanto bene. Sarò sempre debitore nei vostri confronti per ciò che mi avete trasmesso umanamente e professionalmente».

«Tornerò in Italia»

Ora, a Boston, la vena artistica e musicale del medico cantautore non si è certo esaurita. «Sto scrivendo altri brani. Nel tempo, poco, che mi resta libero dagli impegni di studi e di lavoro. Cosa farò dopo questa borsa di studio? Sono grato di essere qui, nell’Olimpo della medicina, l’ambiente è davvero super stimolante, ma tra un anno tornerò a casa: sono innamorato del mio Paese, l’Italia è cultura. E la nostra sanità ha eccellenze, come quelle di Bergamo, che meritano impegno e dedizione».

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