Gori sulla Nazionale a Bergamo
«Segno di rinascita per la nostra città»

Parla il sindaco di Bergamo. «Ospitare gli azzurri qui ha un grande valore simbolico dopo l’emergenza Covid: lo sport è una metafora perfetta della rivincita».

Bergamo, cioè Europa. La terra ferita è oggi una terra orgogliosa, più che mai. Che ha ritrovato la sua quotidianità, pur rivoluzionata, e sempre carica del ricordo di una tragedia già incisa nella memoria collettiva. Sul sentiero della ripartenza, c’è anche l’incrocio con lo sport. E dunque con le lingue del mondo: ora la Nazionale, per un omaggio ai luoghi diventati toponimi del dramma, ma anche per una partita «vera», e poi l’Atalanta che porta la Champions League – e le leggende del calcio: Liverpool, Ajax – all’ombra delle Mura. Anche da qui, dal pallone che rotola in eurovisione, passa un’altra immagine della città.

«Ha un grande valore simbolico, ed è un onore», l’appuntamento di domani sera al Gewiss Stadium, sottolinea Giorgio Gori, sindaco di Bergamo: gli azzurri «troveranno una città determinata a ripartire dopo l’emergenza, necessariamente prudente rispetto ai rischi che ancora percepiamo, ma sempre operosa, unita, vivace, forte. Tutte le qualità che vorremmo dalla Nazionale».

Lo sport come aiuta la città a ripartire?

«Vorremmo che Bergamo, dopo essersi trovata a essere la città simbolo dell’epidemia Covid, potesse oggi rappresentare la rinascita, e in questa chiave leggiamo il sostegno che il mondo dello sport sta dimostrando verso la nostra città. Lo sport è una metafora perfetta della rivincita, della riscossa che vogliamo parta da qui. Non dimentichiamo poi che il recente “indice di sportività” del Sole24Ore riconosce Bergamo come una delle città più sportive d’Italia. Lo sport riparte da qui anche perché Bergamo è città di grande tradizione».

Le immagini dei camion militari hanno fatto il giro del mondo. Da queste partite passa davvero invece un’altra immagine?

«Credo che l’Atalanta abbia dato e stia dando, probabilmente più di ogni altro fattore, un grande contributo. La partecipazione alla Champions è stata davvero straordinaria e ha rappresentato la sorpresa del calcio del nostro continente, attirando attenzione e simpatia di milioni di tifosi di tutto il mondo. Certamente però non basta a ribaltare la notorietà che la nostra città ha guadagnato a livello planetario dopo la crisi-Covid: a questo obiettivo lavoriamo in ogni direzione, attraverso nuove iniziative di promozione della città, l’appuntamento di Capitale della Cultura 2023 con Brescia e tanto altro ancora. Solo così potremo davvero costruire un’immagine diversa per la nostra città».

Al di là dello sport, Bergamo è davvero una città europea?

«Io penso di sì. Credo che l’Atalanta e la città si siano specchiate l’una nell’altra negli ultimi anni. Alla crescita dell’Atalanta ha corrisposto la crescita di Bergamo: ci siamo aperti al turismo internazionale, studenti di tutta Europa frequentano la nostra università che è cresciuta in prestigio, il nostro patrimonio è stato riconosciuto dall’Unesco ben due volte (prima le Mura, poi l’arte casearia del territorio, ndr) e abbiamo conseguito anche il titolo di Regione gastronomica europea, manifestazioni come il Donizetti Opera Festival, i Maestri del Paesaggio, il Bergamo Film Meeting e il BergamoJazz hanno notorietà continentale. Lo sport ha fatto da ciliegina».

Tra i convocati dell’Italia non c’è alcun atalantino. Meno vivaio e più internazionalizzazione, per l’Atalanta oggi: una scelta che condivide o si è «smarrita» una tradizione?

«Ce ne sono invece nell’Olanda, e più d’uno. La favola Atalanta è partita proprio dalla valorizzazione dei nostri giovani, se ci ricordiamo bene. Negli ultimi anni quei pezzi sono andati ad arricchire le rose di squadre più blasonate, e non è semplice continuare a pescare nel vivaio: la dirigenza ha fatto la scelta di scovare e valorizzare giovani calciatori europei e io la condivido, soprattutto alla luce dei risultati conseguiti. Il settore giovanile nerazzurro, d’altro canto, non solo non è stato trascurato, ma continua a crescere alle spalle della prima squadra».

Gli stadi restano ancora chiusi. Decisione inevitabile, considerati i numeri del contagio. È d’accordo?

«Sono assolutamente d’accordo. Credo che in questa fase così piena di incognite sia da usare la massima prudenza e far entrare migliaia di persone in un’unica struttura possa essere davvero un rischio evitabile. Certo, il calcio senza pubblico non è lo stesso».

Che valore ha l’invito ai sindaci bergamaschi per presenziare allo stadio?

«Significa portare allo stadio, idealmente, ogni comunità. Non solo sindaci: anche i medici, gli infermieri e gli operatori sanitari del Papa Giovanni e di Humanitas Gavazzeni sono stati invitati dalla Figc, a sottolineare l’apprezzamento e l’alta considerazione per il grande lavoro svolto nei mesi dell’emergenza Covid».

Sportivamente, quale ulteriore traguardo può porsi Bergamo?

«Abbiamo la forza e la fame di una provinciale, con la consapevolezza che ora il mondo non solo ci conosce, ma ci guarda e ci sostiene: se saremo in grado di trasformare questa simpatia in energia positiva, possiamo guardare a traguardi molto ambiziosi».

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