Covid, un vaccino dopo soli 10 mesi
Il patologo Abrignani: «È straordinario»

Le notizie in arrivo dalle big pharma «sono i primi spiragli: c’è davvero di che festeggiare. A 10 mesi dal sequenziamento del virus, avremmo considerato accettabili sieri con efficacia superiore al 50-60%».

Primi spiragli di luce, tutti affidati ad annunci ufficiali. Da un lato le big pharma, che hanno appena comunicato i dati di efficacia dei primissimi vaccini anti-Covid arrivati alla fase conclusiva della sperimentazione. Dall’altro il commissario all’emergenza Domenico Arcuri, che ha annunciato saranno 1,7 milioni gli italiani in grado di vaccinarsi a fine gennaio 2021.

«Sono i primi spiragli, c’è davvero di che festeggiare» assicura Sergio Abrignani, immunologo, ordinario di Patologia generale all’Università degli Studi di Milano e direttore scientifico dell’Istituto nazionale Genetica molecolare «Romeo ed Enrica Invernizzi».

È notizia delle scorse ore che i vaccini Pfizer e Moderna hanno un’efficacia attorno al 95%, secondo quanto recentemente dichiarato dalle due aziende. È la percentuale che ci aspettavamo dai primissimi vaccini contro il Covid?

«Assolutamente no, è un risultato strabiliante. A dieci mesi dal sequenziamento del virus, avremmo considerato accettabili vaccini con efficacia superiore al 50-60%, così come avevano dichiarato le autorità regolatorie americane. I dati di Pfizer e Moderna sono la miglior notizia arrivata da inizio pandemia».

Notizia affidata però non a riviste scientifiche di comprovato prestigio bensì a comunicati aziendali. Non proprio la stessa cosa...

«No, è vero. Ma parliamo di alcune fra le prime aziende al mondo nel settore. E credo abbiano fatto molto bene, in questo periodo contraddistinto da un’evidente fame di notizie, a pubblicare con chiarezza i loro dati ancor prima della pubblicazione formale su riviste scientifiche: sono le prime luci in fondo al tunnel. Dati che derivano peraltro da una platea complessiva molto ampia, di circa 84mila volontari testati. E cosa ci dicono questi risultati? Che i due vaccini sono riusciti a prevenire in quasi il 95% dei casi la malattia. La stragrande maggioranza di chi l’ha sviluppata dopo la sperimentazione aveva infatti ricevuto il placebo».

La Commissione europea ha già siglato contratti con le big pharma – fra cui Pfizer, con Moderna è invece in fase di negoziato – «prenotando» un miliardo e 200 mila dosi per i 500 mila cittadini dell’Unione Europea. A chi andranno le prime dosi in Italia?

«A inizio 2021 s’inizierà a vaccinare operatori sanitari, operatori essenziali come le forze dell’ordine, e a seguire gli anziani più fragili, come da piano Oms. Va detto che avere la Commissione che tratta per noi ci dà tutti i vantaggi dei grandi numeri: se nella corsa all’approvvigionamento l’Italia dovesse competere come un gigante come gli Stati Uniti non ci sarebbe partita. Anche in fase di contrattazione del prezzo».

Non per frenare l’ottimismo, ma visti i ritardi nella gestione della campagna antinfluenzale qualcuno dubita si riesca a organizzare una campagna di vaccinazioni di massa contro il Covid.

«Sono due cose diverse. La distribuzione dei vaccini anti-Covid sarà centralizzata, non ci saranno le Regioni a fare ognuna per conto proprio. È vero che ci sarà da gestire una logistica imponente che tenga conto della catena del freddo, ma non tutti i vaccini richiedono di stare a -80 gradi. In ogni caso sono assolutamente ottimista: la logistica, che peraltro in Italia ha una grande tradizione, non sarà un ostacolo».

I vaccini di Pfizer e Moderna si basano sull’Rna messaggero, tecnica mai usata prima. Quali sono i vantaggi di questo sistema?

«È molto più veloce, ha almeno sei mesi di vantaggio. Mi spiego: tutti i vaccini puntano a indurre la risposta del nostro sistema immunitario contro la proteina Spike, caratteristica di questo virus. Ma anziché confezionare la proteina in laboratorio con tecniche lunghe ed elaborate come si fa nel caso di vaccini basati su proteine ricombinanti, i vaccini di Pfizer e Moderna fanno sì che siano i pazienti stessi a produrre la Spike. Come? Sfruttando le istruzioni contenute nell’Rna messaggero, iniettato nelle nostre cellule col vaccino. A quel punto scatta la risposta del nostro sistema immunitario».

I vaccini tradizionali, che saranno disponibili in seconda battuta, saranno più efficaci?

«Onestamente credevamo lo sarebbero stati, e mi riferiscono ai vaccini a base di proteine ricombinanti. Ma vista l’efficacia del 95% dei vaccini a base di Rna, francamente crediamo sia difficile fare meglio».

In ogni caso fra qualche mese potremmo essere nella condizione di poter scegliere fra un portfolio molto ampio di vaccini. Quale sarà il migliore?

«Quello che, alle condizioni minime e non negoziabili (ovvero sicurezza e protezione dalla malattia), aggiungerà la capacità di proteggere meglio gli anziani, di garantire l’immunità per il tempo più lungo, di prevenire oltre che la malattia anche l’infezione, oltre a vantare una logistica – penso alla catena del freddo – più agevole. Vorrei sottolineare però una cosa».

Quale?

«Che se solo qualche mese dopo aver sequenziato il virus ci troveremo addirittura a poter scegliere fra una gamma di vaccini, questo risultato strabiliante lo dobbiamo al trionfo della tecnologia e della ricerca. Ricordiamocelo quando si tratta di finanziarla. E anche ad un’altra cosa: la sperimentazione sugli animali, sui piccoli primati. È un tema delicato, lo so, ma senza i modelli animali non saremmo mai arrivati a questo risultato».

Intanto iniziano ad uscire i primi sondaggi, e pare che ci sia una fetta di italiani poco incline a farsi vaccinare non appena saranno disponibili le prime dosi.

«Uno Stato con una leadership molto forte lo imporrebbe, ma dubito succederà. In ogni caso, ricordo che vaccinarsi è un dovere civico. Se non l’abbiamo capito dopo questa pandemia...».

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