Droga e telefonini portati in carcere: archiviazione per 15 dei 20 indagati

L’accusa: chiudevano un occhio in cambio di compensi. Nove sono agenti della polizia penitenziaria.

È un’indagine per droga e telefonini introdotti nel carcere di Bergamo in cambio di compensi che nell’aprile del 2019 aveva portato a una serie di perquisizioni e all’iscrizione nel registro degli indagati di una quindicina di persone, tra cui 9 agenti della polizia penitenziaria in servizio in via Gleno. Si tratta di una costola dell’inchiesta maggiore, aperta l’anno precedente (2018), nel corso della quale era stato arrestato l’allora direttore del carcere Antonino Porcino. Ora il pm Emanuele Marchisio, titolare del fascicolo, ha chiesto e ottenuto l’archiviazione per le posizioni di 15 dei 20 indagati (il numero col prosieguo degli accertamenti era cresciuto); altri 5 agenti della polizia penitenziaria restano sotto inchiesta e non è escluso che vadano verso una richiesta di rinvio a giudizio. Tutti sono sempre rimasti indagati a piede libero; i reati ipotizzati sono, tra gli altri, la corruzione, l’abuso d’ufficio, lo spaccio di sostanze stupefacenti, l’omessa denuncia.

L’ipotesi principale è che alcuni agenti della polizia penitenziaria avessero ricevuto soldi e utilità (carte postepay, bottiglie di whisky, orologi, gioielli) per chiudere un occhio su droga e cellulari che venivano portati all’interno del carcere.Ma, ha concluso il pm, in molti casi non si va al di là del rilievo disciplinare, che riguarda per lo più controlli avvenuti in modo blando, ma non per questo compiacente o collusivo.

In particolare, per quanto riguarda un agente indagato dopo che un detenuto, di rientro da un permesso premio, aveva introdotto in carcere sei cellulari, 10 dosi di cocaina e una chiave inglese, il pm scrive che «non è chiaro» il suo ruolo nella vicenda e quindi «non vi è in atti alcuna prova certa della responsabilità di quest’ultimo».

Un altro agente era accusato di omessa denuncia perché non avrebbe fatto rapporto dopo che un detenuto gli aveva confessato di aver spacciato anche ad appartenenti alle forze dell’ordine. «L’indagato non poteva essere certo della veridicità di quanto narratogli dal detenuto – argomenta il pm nella richiesta di archiviazione –, che per parte sua pare essere stato assai generico nella descrizione dei fatti, che non risultano circostanziati». A fronte di questo, conclude Marchisio, «non si ritiene che sull’agente (…) gravasse un obbligo di fare rapporto in ordine a quanto appreso».

Un altro agente è descritto come uno dei più «avvicinabili» nel carcere di Bergamo. Tramite una «cimice» gli investigatori lo avevano sentito parlare da solo in auto: «Mi degradano, mi levano il grado… a me non mi mandano proprio in pensione», diceva tra sé. Ma, conclude la Procura, «a dispetto di ciò, all’esito delle indagini espletate non sono emersi elementi che consentano di imputare a (…) specifiche condotte penalmente rilevanti». Di un altro collega il pm scrive che acquistava hashish, ma che «da nessun elemento in atti emerge che lo stesso l’abbia introdotto all’interno della casa circondariale».

Il gip Lucia Graziosi ha ritenuto «condivisibile» la richiesta del pm e ha disposto l’archiviazione per i 15.

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