Cronaca / Bergamo Città
Lunedì 27 Gennaio 2020
Il Giorno della Memoria a Bergamo
Riva, il vescovo del dialogo con gli ebrei
La sua figura, a vent’anni dalla morte, torna d’attualità: inventò l’annuale «Giornata di riflessione» giudaico-cristiana. Oggi per 98 bergamaschi la Medaglia d’onore.
Sono passati vent’anni della morte del vescovo bergamasco monsignor Clemente Riva. Ma il suo ricordo, tra la fine dello scorso anno e l’inizio del nuovo, è tornato di attualità perché, è cosa risaputa, fu paziente tessitore di dialogo e di amicizia con gli ebrei. Fu l’inventore dell’annuale «Giornata di riflessione» giudaico-cristiana e l’intelligente regista dello storico abbraccio, il 13 aprile 1986, tra il rabbino capo Elio Toaff e Giovanni Paolo II nella sinagoga di Roma.
Alla sua morte, nella settimana santa del 1999, le commemorazioni privilegiarono le sue attenzioni pastorali per l’ecumenismo e per gli ebrei. In effetti monsignor Clemente Riva considerava il rapporto con il popolo ebraico, come comunità di fede, un dato essenziale dell’unità del popolo di Dio e riteneva importante non dimenticare che le radici del cristianesimo stanno nell’ebraismo. La sua simpatia per il mondo ebraico nasceva dalla memoria storica. Era nel noviziato dei rosminiani a Domodossola nel periodo della seconda guerra mondiale e, quando il 10 settembre 1944 emise i voti annotò sul suo diario che c’era poco da mangiare, le città erano bombardate, il fratello Angelo era al fronte, i viaggi fortunosi e pieni di pericoli, i Rosminiani mal visti, lo stesso Generale, Padre Bozzetti, arrestato e messo in prigione (4 novembre - 22 dicembre 1944).
L’esperienza di Roma, a partire dal 1946, gli aprì la finestra sulla difficile storia dei rapporti ebraico-cristiani, culminata nei tragici 9 mesi dell’occupazione nazista di Roma, in cui si consumò la deportazione di parte degli ebrei romani, razziati all’alba del 16 ottobre 1943. Da prete seguì il progressivo mutare dell’atteggiamento della Chiesa nei confronti dell’ebraismo: l’appello di Jules Isaac, pioniere delle Amicizie Ebraico-Cristiane, ad abbandonare «l’insegnamento del disprezzo», l’apertura di Giovanni XXIII, l’opera del cardinale Agostino Bea nella preparazione del documento conciliare sull’ecumenismo, che ha segnato una svolta anche nei rapporti con l’ebraismo.
Da ausiliare di Roma – venne consacrato vescovo nella stessa chiesa dove 50 anni prima era stato consacrato Angelo Giuseppe Roncalli – monsignor Riva fece della mitezza il suo stile. Come Papa Giovanni anch’egli preferiva illuminare che combattere, costruire ponti invece di ergere mura, avviare processi di persuasione più che dare disposizioni. Il suo impegno, in particolare per il superamento dei pregiudizi e la costruzione di nuove relazioni con gli ebrei, trova espressioni diverse, ma significative e, talvolta, inedite: raccoglie in una pubblicazione i testi del magistero sul dialogo cristiano-ebraico; nel sussidio della Commissione ecumenica della Diocesi di Roma riserva speciale attenzione al dialogo con la comunità ebraica; incontra alla sinagoga di Roma il rabbino Elio Toaff, avvia la tradizione di portargli gli auguri in occasione delle festività ebraiche e lo invita a parlare al clero di Roma; coinvolge rappresentanti della comunità ebraica romana nella preparazione al sinodo diocesano conclusosi nel 1993.
Il vescovo bergamasco non ha mai trascurato l’importanza per la cura dei piccoli gesti. Prima di effettuare il pellegrinaggio in Israele, nel 1995 – fu l’unico pellegrinaggio in Terrasanta della sua vita – volle recarsi alla sinagoga di Roma perché visitare i luoghi santi del cristianesimo significava per lui anche visitare la terra degli ebrei, suoi amici. Un semplice gesto che rivela la sensibilità di monsignor Riva. Due anni dopo, il rabbino Toaff col rabbino capo di Milano Giuseppe Laras dedicherà a monsignor Riva dieci alberi della foresta «Papa Giovanni XXIII» a Nazareth, luogo in cui si commemorano i maggiori protagonisti del dialogo ebraico-cristiano, primi tra tutti Papa Roncalli e Jules Isaac.
Un altro gesto di amicizia – piccolo ma denso di significato – compiuto da monsignor Riva verso gli ebrei è ricordato dallo storico italiano di origine ebraica e superstite dell’Olocausto Emanuele Pacifici (Roma 1931 2014): «Anni fa, per un errore del ministero degli Interni, era stata fissata la data per le elezioni nell’ultimo giorno di Pesach, festa solenne per noi ebrei. Monsignor Riva, anche attraverso la stampa, propose di posticipare di una settimana le votazioni, nonostante cadessero durante la Pasqua cattolica: “Per noi cattolici non è peccato scrivere” , disse ai giornalisti». Anche per Tullia Zevi, «Riva ha instillato nel dialogo cristiani-ebrei un clima di benevolenza, di volontà di comprensione, di spirito di lavoro comune. E se il dialogo ebraico- cristiano si è avviato in un modo positivo a Roma e in Italia, lo si deve in gran parte alla sua opera e personalità».
Lo spirito delle iniziative del vescovo Riva nascono dalla persuasione che tra ebrei e cristiani c’è diversità, non divisione. Ciò che unisce è l’attesa escatologica del Messia; il riconoscimento di una comune missione. In un’intervista degli ultimi anni monsignor Riva ha ricordato che «L’ebraismo è rivelazione anche per i cristiani. La storia sacra dell’Antico Testamento è storia sacra anche per noi. Non si tratta di un legame con il passato. È soprattutto un rapporto vivo con il popolo ebraico vivente, contemporaneo. Un rapporto che ci permette oggi di approfondire sempre di più, ebrei e cristiani insieme, il significato della Rivelazione, dell’unità di Dio, dei valori e dei messaggi contenuti nell’Antico Testamento».
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