La «pioniera» del 118 va in pensione: «L’ho visto nascere»

LA STORIA. Per Brunella Frosio lunedì 29 maggio è l’ultimo giorno di lavoro nel soccorso sanitario di Bergamo. Una realtà che la 59enne ha vissuto per intero, dall’istituzione della prima centrale nel ’92 a oggi.

Mentre Brunella Frosio racconta la sua storia, alle sue spalle c’è una centrale operativa in pieno fermento. Le chiamate costanti, l’elisoccorso che si prepara a un volo. È la straordinaria ordinarietà di una macchina rodata, quella dell’emergenza-urgenza qui nell’Aat di Bergamo. In una parola: il 118, il soccorso sanitario. E lei, 59 anni, origini in valle Imagna e residenza in città, c’è sempre stata in questa storia: c’era trent’anni fa quando il 118 di Bergamo nacque grazie a un piccolo gruppo di «pionieri», e c’è stata fino al traguardo della pensione che sta per raggiungere (ufficialmente dal 21 ottobre, ma lascerà la sede del 118 da oggi, 29 maggio).

La storia

Salto nel passato, anno 1992. Brunella Frosio è infermiera nella Neurochirurgia degli allora Ospedali Riuniti, e quell’anno un decreto legge istituzionalizza il 118; fino a quel momento, invece, per chiamare un’ambulanza bisognava districarsi tra tanti numeri diversi. Frosio viene scelta insieme a tre colleghi per dar vita anche a Bergamo a una centrale del 118; visitano le centrali francesi e svizzere, mettono insieme idee e conoscenze. Poi, arriva quel giorno: «Il 7 luglio 1993 apriamo la sede della centrale, inizialmente in un locale utilizzato dai sindacati, poi nell’ex Casa delle suore sempre ai Riuniti – ricorda l’infermiera -. Abbiamo fisicamente dato vita agli uffici, portato le sedie e i tavoli. È stato tutto molto pionieristico». Pionieristico e concreto: «Abbiamo preso le cartografie regionali e abbiamo tracciato dei quadranti per poter dare delle coordinate, gli elenchi telefonici e selezionato tutti i numeri utili: ospedali, case di riposo, associazioni, municipi. E siamo partiti», sorride Frosio. Dalla mezzanotte del 1° aprile, la centrale è operativa: «Inizialmente arrivavano poche chiamate, il numero era poco conosciuto. E poi – sorride l’infermiera – all’epoca l’ambulanza la si chiamava solo se si stava davvero male. Ma già l’8 dicembre, ricordo bene il giorno, ricevemmo tantissime telefonate. Negli anni è stato fatto un grande lavoro di tessitura per far funzionare al meglio il servizio».

L’attività

Da quel momento è cominciata una storia senza fine, Brunella Frosio si divide tra la centrale e le uscite sull’ambulanza. Restano impressi ricordi indelebili: «Soprattutto gli incidenti che hanno come vittime i bambini – sospira l’infermiera –. Gli aspetti più dolorosi non sono i pazienti gravi: sono i pazienti per cui non si può far nulla, perché sono morti. È molto doloroso anche l’arrivo dei parenti sui luoghi degli incidenti». E in quei luoghi, in quegli attimi, «molto dipende da come ti approcci: non dobbiamo mai dimenticare la persona che sta al centro». Brunella conserva alla perfezione nomi, fatti e storie, con discrezione e professionalità, dalla prima uscita trent’anni fa (per soccorrere una donna in Città Alta) a oggi; nel corso degli anni ha aggiunto anche una laurea in Psicologia, «affascinata dall’impianto teorico». Nel 2014 arriva il trasloco: dai Riuniti, anche il 118 si sposta al «Papa Giovanni», nell’area esterna nei pressi del Pronto soccorso. Questa oggi è la casa bergamasca di Areu (Agenzia regionale emergenza urgenza), dove sono presenti l’Aat 118, la base dell’elisoccorso e la Soreu delle Alpi (una delle 4 sale operative regionali che gestiscono il 118). Tra le pagine più commosse, c’è la vicenda pandemica: «Qui ci ha toccato profondamente, anche per la perdita di Diego Bianco – sospira Brunella Frosio ricordando l’operatore del 118 morto a marzo 2020 – L’aspetto più doloroso della pandemia è stato il rendersi conto che non si riusciva a dare aiuto a tutti: i numeri erano troppo alti, non c’era la possibilità». Ora, dopo 40 anni di lavoro e 30 al 118, il traguardo della pensione: «Un po’ contenta e un po’ spaventata», sorride Brunella. Alle spalle, c’è una storia grandissima: «Mi sento parte di una storia: quella di un gruppo di persone che ha realizzato un sogno, il 118 a Bergamo».

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