L’esodo di medici e infermieri: in vent’anni almeno 20mila sono andati all’estero

Dalla Lombardia. Per tutta l’Italia una «emorragia» di oltre 180mila professionisti. «Stipendi alti e maggiori possibilità di carriera».

Mancano i medici, mancano gli infermieri, il Servizio sanitario si sta impoverendo: il «mantra» che si sente ripetere in questi ultimi anni ha diverse cause, tra queste c’è un dato di cui si parla poco, ma che è in crescita, ovvero la fuga dei medici e degli infermieri all’estero. I dati elaborati attraverso il Database Ocse da «Quotidiano sanità», rilanciati dalla Fnomceo, Federazione nazionale degli Ordini dei medici e dall’Anaao, il maggiore sindacato dei medici ospedalieri, parla di 180mila professionisti emigrati tra il 2000 e il 2022: solo tra il 2019 e il 2021, quindi nella fase clou della pandemia, secondo il Database Ocse risultavano all’estero 21.937 medici e 17.809 infermieri; una fuga diventata rilevante a partire dal 2009, con l’inizio del blocco del turnover e dei contratti.

E ancora, secondo i dati della Commissione europea, sul numero complessivo di tutti i medici espatriati dai loro Paesi d’origine, il 51% è italiano. Nel nostro Paese, al primo posto per numero di emigrazioni c’è il Veneto, gli esperti calcolano che dalla Lombardia possano essere almeno 20mila i medici e gli infermieri che negli ultimi vent’anni hanno lasciato la regione. Per andare dove? Alla ricerca di stipendi più alti, di condizioni di lavoro più gratificanti, di maggiori possibilità di carriera, di una qualità di vita migliore. E le destinazioni sono le più disparate: secondo l’Ocse oltre 1.770 medici l’anno in Francia, oltre 1.000 in Belgio, Germania, Israele, Svizzera e Regno Unito, ma anche Oltreoceano; tra gli infermieri le nazioni più ambite sono sempre il Regno Unito, Svizzera e Germania.

«Fenomeno radicato»

Gli ultimi aggiornamenti sugli elenchi dell’Ordine dei medici di Bergamo indicano 5.793 medici iscritti, di questi 52 sono residenti all’estero. «Ma è un numero non indicativo: la gran parte dei medici che lascia Bergamo per andare a lavorare all’estero non resta iscritto all’Ordine, anche perché per poter restare nell’elenco è necessario un recapito di domicilio professionale attivo in provincia. E la maggior parte non lo fa – sottolinea Guido Marinoni, presidente dell’Ordine dei medici di Bergamo –. Il fenomeno dell’emigrazione è ben più radicato e con numeri molto più elevati. Questo indica la scarsa attrattività che purtroppo ha ormai questa professione in Italia. E, spiace dirlo, segnala il declino del nostro sistema sanitario. È l’intero sistema che va ripensato, se i corsi per la formazione di un medico costano circa 150-160mila euro in sei anni di corso di laurea più quelli di specialità, ma poi un neolaureato si trova con uno stipendio più basso rispetto ai colleghi stranieri, sa che qui faticherà a entrare nella ricerca, a fare carriera, e dovrà affrontare anni di lavoro in condizioni di stress. Bisogna agire subito».

Pochi investimenti

La parola d’ordine, in primo luogo, dovrebbe essere: investire di più e subito, anche nell’aumento delle retribuzioni. «Dal 2000 al 2018 la spesa per il personale sanitario, per esempio, è scesa dal 35% degli investimenti totali in sanità al 30%, nel frattempo è aumentata la spesa per i farmaci, passando dal 3,3% degli investimenti complessivi al 10,1%. Le risorse umane sono il fanalino di coda della spesa in sanità – sottolinea Francesco Corna, segretario della Cisl Bergamo – . Servirebbero almeno 25 miliardi in più, mentre la spesa complessiva si aggira intorno ai 120 miliardi di euro, e nel contempo, solo per fare un paragone, la spesa per il comparto del gioco d’azzardo è di 109 miliardi. Si comprende da queste cifre che non c’è volontà di invertire la rotta e cominciare davvero a finanziare un cambiamento nella sanità».

Contratti fermi

La stessa preoccupazione emerge dalle parole di Roberto Rossi, segretario Funzione pubblica della Cgil di Bergamo: «La situazione sta diventando allarmante, soprattutto per la medicina d’urgenza. Ma anche nella psichiatria: questi specialisti non si trovano più. Per non parlare dei medici di base. La fuga all’estero sta aumentando e aggrava ancora di più la carenza di medici, ma anche di infermieri, che sta indebolendo il nostro sistema sanitario. Occorre valorizzare le retribuzioni dei professionisti, soprattutto di quanti lavorano in prima linea, individuare un percorso virtuoso che faciliti l’accesso alla professione offrendo contratti stabili ai nuovi medici, così da far calare il carico di lavoro che attualmente porta chi è in servizio a livelli di asfissia. Questa è la motivazione principale che spinge a cercare lavoro all’estero, anche a stipendi non tanto più alti di quelli percepiti in Italia. Attualmente è in corso di trattativa il rinnovo del contratto per il Servizio sanitario nazionale. E va rinnovato anche quello per i medici della sanità privata, fermo ai primi anni Duemila: i camici bianchi che lavorano nel privato, tranne poche eccezioni, sono in una situazione anche peggiore».

«Professione svalutata»

Ma il rinnovo del contratto non può essere decisivo se non si rinnova l’organizzazione del sistema, conclude Stefano Magnone, segretario regionale Anaao-Assomed: «La professione medica, sia del medico di base, che dello specialista ospedaliero ha perso appeal, è svalutata. Si va all’estero perché lì si può fare il medico, davvero, in alcuni Paesi in particolare. Ma non basterà il rinnovo del contratto e neppure gli incentivi a chi lavora nei reparti più sotto pressione: vanno fatti investimenti concreti e pesanti, con nuove idee e nuove programmazioni, su tutta l’organizzazione. Va rivista la rete ospedaliera, inserite nuove figure di supporto ai medici per alleggerire i carichi sulle strutture, potenziato il territorio. Lo si dice, ma non si muove nulla. E la rotta non si inverte: in particolare non si spende per chi lavora in sanità.

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