Minorenni autori di reato: per 200 bergamaschi nuove chance di riscatto

GIUSTIZIA. Sono i giovani «messi alla prova» negli ultimi due anni e mezzo. Martedì la legge compie 35 anni, Maggia: «Funziona e abbassa la recidiva». Ma c’è preoccupazione per la «stretta» introdotta dal Decreto Caivano. L’approfondimento di due pagine su L’Eco di Bergamo di domenica 22 ottobre.

Mentre gli ultimi provvedimenti legislativi, vedi Decreto Caivano – ancora una volta affannandosi a rincorrere i fatti di cronaca – introducono misure da pugno di ferro tipo il «daspo urbano» per i quattordicenni, l’ammonimento del questore per i dodicenni e l’ampliamento della facoltà di arresto in flagranza per i minorenni in genere, c’è un istituto giuridico in materia che martedì 24 ottobre compie (silenziosamente) i 35 anni di vita. E funziona : lo dicono i numeri e lo confermano gli addetti ai lavori. Funziona pur facendo i conti con le risorse risicate degli uffici, come quelli degli assistenti sociali, che contribuiscono ad applicarlo. E anziché essere potenziato – dato che porta risultati – potrebbe paradossalmente risentire in maniera negativa proprio delle ultime novità introdotte dal legislatore. Parliamo della «messa alla prova» dei minori autori di reato, contenuta all’articolo 28 del Dpr 448 del 1988.

Che cos’è

In sostanza, quando i casi lo permettono, il procedimento penale viene sospeso – per un massimo di tre anni – e viene avviato un percorso di recupero concordato con i servizi sociali minorili fatto di rieducazione, riparazione del danno (in collaborazione con enti, scuole, associazioni di volontariato, comunità educative, solo per fare degli esempi), ma soprattutto di crescita e maturazione . Se superato porta all’estinzione del reato. Lo Stato, insomma, alla fine del cammino non ha più interesse a punire quel ragazzo, perché lo ha recuperato: non si tratta più della stessa persona.

I numeri e la legge

Sono quasi 200 (198 per l’esattezza) i minorenni bergamaschi che hanno intrapreso questo percorso negli ultimi due anni e mezzo (dati del 2021, 2022 e primo semestre 2023, tutti in crescita) con risultati in larga parte positivi e un bassissimo tasso di recidiva. «Questo istituto è una meraviglia – così definisce la legge del 1988 Cristina Maggia, presidente del Tribunale per i minorenni di Brescia, competente sul distretto che comprende anche Bergamo – ringrazio quel legislatore che lo ha creato perché ha avuto un’intuizione geniale. Un’intuizione – punzecchia però il magistrato – che con le ultime novità legislative rischia di tracollare». Nel mirino c’è proprio il Decreto Caivano: «Questi provvedimenti che aumentano le possibilità di arresto (comunque nel caso dei minorenni sempre facoltativo) e che incrementano l’entità delle pene in caso di condanna, vanno in una direzione opposta». C’è inoltre la questione dell’articolo 27 bis introdotto dal Decreto Caivano a modifica proprio della legge del 1988, in cui si dispone per i reati con pena massima non superiore a 5 anni che il pm notifichi al minore e alla famiglia la possibilità di definizione anticipata del procedimento, purché il ragazzo si sottoponga a un programma di lavori socialmente utili o attività a beneficio della comunità, il tutto però con tempi piuttosto stretti e un percorso rieducativo da depositare entro 30 giorni dalla notifica. Un eventuale rifiuto o l’abbandono del percorso – secondo questo nuovo articolo – preclude l’accesso ai benefici degli articoli 28 e 29, proprio quelli sulla messa alla prova. Una nuova disposizione che rischia quindi di mettere i crisi un sistema virtuoso: «Per i ragazzi che commettono reati e hanno alle spalle un vissuto particolare – dicono gli addetti ai lavori nell’ambito dei servizi sociali minorili – spesso ci vuole molto più tempo e percorsi di consapevolezza maturazione da costruire, ben più lunghi».

«Ricucire le ferite»

«La messa alla prova dei minorenni – afferma Cristina Maggia – fa il bene della collettività perché ricuce le ferite aperte con la commissione di un reato». Buonismo? «La filosofia del processo penale minorile non è buonista – avverte Maggia – ma è volta a responsabilizzare il ragazzo rispetto ai danni causati alla parte offesa e alla comunità intera, con la speranza di un cambiamento. Pm e giudice hanno l’obbligo di spiegare al ragazzo l’impatto sociale di quanto ha commesso e soprattutto di esplorare il contesto di provenienza del minorenne e il suo grado di maturazione. I nostri interventi devono essere calibrati, non per perdonare chi ha commesso un reato, ma per aiutarlo». Nella maggior parte dei casi si tratta di ragazzi che hanno alle spalle percorsi di fallimenti scolastici. «Spesso anche quando mostrano una maschera di forza e di spavalderia questi ragazzi nascondono grande fragilità e svalutazione di sé. Con questa legge, che esiste da 35 anni e funziona, abbiamo tante possibilità di intervenire. E la recidiva si è abbassata. La messa alla prova minorile - chiosa Maggia – è un abito su misura che costruiamo attorno al ragazzo che ha commesso un reato. Può essere un percorso in una comunità, ma anche all’esterno: il minore continua a fare la sua vita ma viene coinvolto in attività di volontariato, o di psicoterapia per controllare i propri impulsi, prendere consapevolezza, riacquistare autostima».

Ci sono i ragazzi a cui viene affidata la manutenzione di parchi e giardini, per sviluppare un senso odi cura del bene pubblico. Ma non solo: «Mi viene in mente l’esempio di un gruppetto di ragazzi in una nostra periferia degradata che commettevano reati contro il patrimonio. Li abbiamo coinvolti in un percorso di street art, hanno conosciuto artisti di strada, frequentato laboratori. Poi hanno realizzato un murales per la città e si sono sentiti valorizzati, coinvolti. Metterli in carcere non sarebbe servito a niente».

Si tratta di una «messa alla prova» profondamente diversa nella filosofia da quella degli adulti, introdotta in tempi più recenti. «La messa alla prova del minore – spiega Maggia – presuppone la conoscenza dell’individuo. Non è una messa alla prova del “fare” qualcosa, ma dell’evolvere. Mentre per la messa alla prova dell’adulto il giudice deve verificare che l’autore del reato abbia compiuto fino in fondo l’incarico riparatore, quella sul minore è tesa a verificare se sia “maturato”. Io non sono contraria a carcere di per sé, ma va usato solo quando serve». Per le baby gang? «Mi fa arrabbiare – confida Maggia – sentir parlare di baby gang. Dietro le condotte di reato ci sono tante ragioni sociali, bisogna chiedersi il perché e capire chi si ha davanti. Si parla tanto di baby gang, ma i dati della criminalità minorile da noi sono stabili, anzi c’è un crollo delle denunce per stupefacenti».

Il 24 ottobre incontro in Santa Caterina

Martedì 24 ottobre dalle 17 all’oratorio di Santa Caterina è in programma l’evento «Se non potrai correre, ti insegnerò a volare», promosso e sostenuto da Agathà (comunità per ragazze), Fondazione Don Fausto Resmini - Patronato San Vincenzo, Fondazione A. J. Zaninoni, Comune di Bergamo e Ministero della Giustizia - Ufficio dei Servizi Sociali per i minorenni (Ussm) di Brescia. Una rappresentazione teatrale narrerà alcune esperienze. «Le loro storie di rinascita, una scommessa per gli adulti», il commento di don Marco Perrucchini, sacerdote del patronato e presidente di Agathà.

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