Mutui per la casa sempre più salati: stangata da oltre 2mila euro all’anno

Il rialzo della Bce. Le rate a tasso variabile salite di quasi 200 euro al mese. Lucarelli (Unibg): «Per le famiglie criteri più stringenti per i finanziamenti».

Casa, dolce casa. Ora, però, il leitmotiv è cambiato leggermente: la casa è sempre più cara, e rischia di diventarlo ancor di più. Il nuovo rialzo dei tassi deciso dalla Bce – una mossa per cercare di rallentare l’inflazione, nelle intenzioni – porterà anche a un inasprimento del costo dei mutui. È così dalla scorsa estate, a seguito del primo di una serie di interventi della Bce: chi aveva un mutuo a tasso variabile, in concreto, già oggi paga in media (a seconda dei casi, molto diversificati) fino a 100-150 euro in più al mese di un anno fa . Una proiezione di Facile.it – che confronta i finanziamenti offerti da diversi istituti di credito – parte ad esempio da un «mutuo tipo» a tasso variabile da 126mila euro in 25 anni sottoscritto a gennaio 2022: allora la rata era di 456 euro al mese, oggi è già balzata a 619 euro; con l’ulteriore rialzo dei tassi (la Bce li ha aumentati di altri 50 «punti base»), quella stessa rata dovrebbe salire a 653 euro, cioè +197 euro nel giro rispetto a gennaio 2022. Ben oltre duemila euro in più all’anno, nei casi peggiori: più di uno stipendio se ne andrà così.

L’impatto, seppur differenziato a seconda delle singole situazioni, è sicuramente forte: alla vigilia del rialzo dei tassi la Fabi, la Federazione autonoma dei bancari italiani, stimava che aprire oggi un mutuo a tasso fisso comporta rate quasi raddoppiate rispetto a chi lo ha acceso un anno fa, mentre per quelli a tasso variabile il «rimborso» mensile è salito del 24%.

Il meccanismo dei tassi

La reazione a catena innescata dalla Bce si riverbera appunto anche sul mercato immobiliare. «Il rialzo dei tassi di interesse comporta solitamente un rialzo del prezzo nominale degli immobili – spiega Stefano Lucarelli, professore associato di Politica economica all’Università degli Studi di Bergamo -. Le aspettative di rialzo dei prezzi in passato hanno determinato un sovrainvestimento nel settore immobiliare. I risparmiatori, infatti, ritenevano che investendo in un settore immobiliare caratterizzato da valori crescenti avrebbero difeso i propri risparmi dall’inflazione. Ma oggi in Italia le cose stanno diversamente: occorre fare i conti con le caratteristiche strutturali del nostro sistema economico. I salari medi italiani sono diminuiti negli ultimi 30 anni e sono più bassi del 12% rispetto al 2008. Le stime relative al tasso di crescita per il 2023 sono state riviste al ribasso dalla Commissione Europea (+0,3% in dicembre), il tasso di disoccupazione sembra ridursi (7,8% in dicembre) ma resta più alto rispetto a quello Ue (6%). È in particolare molto alto il tasso di disoccupazione giovanile: 23% in Italia rispetto al 15,1% nell’Ue, secondi i dati Eurostat riferiti allo scorso dicembre».

Di conseguenza, aggiunge Lucarelli, «queste caratteristiche strutturali già stanno determinando una maggiore selezione del credito da parte delle banche e un rialzo nel costo dei mutui. La Banca d’Italia ha segnalato questo mese che “i criteri di offerta dei prestiti alle famiglie sono diventati lievemente più stringenti per quelli finalizzati all’acquisto di abitazioni. Nel semestre terminato lo scorso dicembre i criteri di offerta sono stati irrigiditi soprattutto per le imprese operanti nel comparto manifatturiero ad alta intensità energetica e in quello immobiliare”. Ciò potrebbe avere un impatto sulla caduta del valore degli immobili, rendendo sconvenienti gli investimenti immobiliari».

Gli scenari

Sulla durata di questa fase pesano alcune incognite: «La presidente della Bce – rileva Lucarelli – dichiara che il rialzo dei tassi è necessario per riportare l’inflazione al suo valore obiettivo, il 2%. È pur vero che ci sono segnali di nervosismo e di disaccordo dentro il Consiglio direttivo. Fabio Panetta (membro del Comitato esecutivo della Bce, ndr) ha per esempio dichiarato che in marzo occorrerà rivalutare la situazione. Forse non tutti sono d’accordo con le dichiarazioni di Christine Lagarde di aumentare i tassi ad un ritmo costante di 50 punti per volta». Ma l’aumento dei tassi sta effettivamente frenando l’inflazione? «A me non pare – risponde Lucarelli, che ha affrontato questi temi anche nel recente libro “La guerra capitalista”, scritto con Emiliano Brancaccio e Raffaele Giammetti, per Mimesis Edizioni –. Anzi possono paradossalmente creare in alcuni settori, quelli a più ampio potere monopolistico, una spirale inflazionistica volta a difendere i margini di profitto. D’altro canto, le cause principali di questo rialzo fuori controllo dei prezzi hanno a che fare soprattutto con le conseguenze della guerra: l’analisi dell’andamento delle principali componenti dell’inflazione in Europa mostra la predominanza della parte relativa al costo dell’energia. Ciò è dipeso dalla ridefinizione della politica internazionale imposta dagli Stati Uniti all’Ue».

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