Oltre 361 mila pensioni in Bergamasca: boom in 25 anni. Quasi raddoppiati i lavoratori autonomi

Osservatorio Inps Dai 48.570 del ’98 agli attuali 90.177: stabile invece il numero dei dipendenti: circa 200 mila. Salgono le «assistenziali». Media di 1.035 euro al mese.

Il numero totale schizza verso l’alto, sensibilmente, ma va «scremato». Sono 361.407 le pensioni erogate in Bergamasca, secondo il nuovo aggiornamento al 1° gennaio 2022, e in un quarto di secolo se ne sono aggiunte – all’apparenza – oltre 100mila in più: nel 1998, infatti, se ne contavano 256.880.

Scavando nei dati, però, emerge la nuova «geografia» delle pensioni. Quelle dei lavoratori dipendenti sono 202.102, e restano sostanzialmente stabili (erano 200.296 nel 1998), e a crescere sono tutte le altre voci: gli assegni ai lavoratori autonomi sono ora 90.177, quasi raddoppiati rispetto ai 48.570 del 1998, mentre le «prestazioni assistenziali» (pensioni e assegni sociali, prestazioni a invalidi civili) sono passate dalle 6.877 del 1998 alle attuali 48.424; a completare il quadro ci sono poi alcune voci minori, come i 3.260 «fondi sostitutivi» (le pensioni di assistenti di volo, dazieri, ex dipendenti delle Ferrovie, ex poste), 182 «fondi integrativi» (gas, esattori, minatori), 4.209 pensioni da altre categorie varie e 13.053 pensioni da gestione separata. L’importo mensile medio delle pensioni bergamasche – una media tra tutte le categorie – è di 1.035 euro, con una crescita del 79% rispetto ai 577,95 euro mensili medi del 1998. Sono solo alcuni dati diffusi col nuovo aggiornamento dell’Osservatorio sulle pensioni dell’Inps.

Le «forbici»

Più nel dettaglio (tutti gli importi, specifica l’Inps, sono al lordo), le pensioni da lavoro dipendente «valgono» in media 1.188,48 euro al mese, quelle da lavoro autonomo 1.036,38 euro, quelle da gestione separata appena 283,70 euro. Una differenza significativa è quella secondo il «regime» di liquidazione: le 155.148 pensioni maturate secondo il retributivo valgono in media 1.041,79 euro, il 37,5% in più dei 757,78 euro medi mensili di quelle ottenute tramite il contributivo puro (che sono ancora ben poche, 3.783); in mezzo ci sono i «sistemi misti», con i 1.102,60 euro in media del «misto» con la riforma Dini (per 18.685 bergamaschi) e i 2.250 euro in media del «misto» con la riforma Fornero (24.486 pensioni). Ampia è la forbice di genere: se si guarda in particolare alle pensioni di vecchiaia per i lavoratori dipendenti, quella degli uomini è in media di 1.814 euro al mese mentre quella delle donne è invece di 824,18 euro. Una differenza di quasi mille euro esatti.

Guardando solo alle pensioni di vecchiaia (escludendo cioè quelle per invalidità, superstiti e pensioni sociali), su 230.351 assegni «pagati» dall’Inps di Bergamo, 102.388 sono inferiori ai 1.000 euro mensili, 85.458 sono compresi tra i 1.001 e i 1.999 euro mensili, 30.082 sono nella fascia 2.000-2.999 euro mensili, 7.929 oscillano tra 3.000 e 3.999 euro mensili, 2.547 spaziano tra i 4.000 e i 4.999 euro, 1.947 sono superiori ai 5.000 euro mensili.

La sostenibilità del sistema

«Stanno aumentando sempre più, inevitabilmente, i lavoratori che vanno in pensione col sistema contributivo, ma con importi decisamente più bassi – rileva Roberto Corona, della segreteria provinciale della Fnp-Cisl di Bergamo –. La pandemia invece ha indotto alla pensione anticipata molti lavoratori autonomi, per via delle troppe incertezze e delle mutate condizioni di lavoro». In filigrana, scorre un tema ineludibile: «Quello della sostenibilità del sistema – rimarca Corona – : senza un ricambio generazionale nei luoghi di lavoro, è difficile che il sistema regga. Come se la passano oggi i pensionati? Non certo bene, soprattutto le donne. Hanno le pensioni più basse, mentre le lavoratrici sono la categoria più penalizzata perché porta sempre il peso dei lavori di cura. Per via della gravosità del lavoro di cura molte donne rinunciano al lavoro, ma rinunciando al lavoro si avranno pensioni più basse: è una spirale negativa che continua ad avvitarsi, servono misure di supporto». «Che il sistema contributivo porti a pensioni significativamente più basse del retributivo, non c’è dubbio alcuno – ribadisce Marcello Gibellini, dello Spi-Cgil di Bergamo –. Gli effetti concreti delle riforme delle pensioni si vedono poi nelle storie di vita dei pensionati: ci sono casi in cui il retributivo porta ad assegni inferiori a quella che era la “minima integrata” nel vecchio sistema».

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