Ospedale, l’allarme dei primari
«Attività ordinaria ridotta del 60%»

Al Papa Giovanni l’aumento di posti Covid chiesto dalla Regione ha fatto slittare molti interventi per altre patologie. Pezzoli: «Facciamo il massimo, ma la coperta è corta».

La Regione chiama e l’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo risponde. L’emergenza Covid ha ovviamente la priorità, ma resta il problema di garantire un’adeguata copertura anche alle urgenze e a tutte le altre malattie (oncologiche in testa) proprio perché nemmeno loro vanno in vacanza durante il Covid. Un carico sempre più oneroso, anche alla luce delle direttive regionali con cui si è via via chiesto alle strutture ospedaliere lombarde di ridurre l’attività di ricovero e quella chirurgica procrastinabile, con l’attivazione progressiva dei posti letto Covid fino al livello 4 B. Tradotto: un ulteriore sforzo per affrontare il coronavirus che si riverbera inevitabilmente sulle liste di attesa per le patologie no Covid. E i pazienti, preoccupati, iniziano a guardarsi altrove.

Stasi: salvaguardare l’hub

Il direttore generale dell’Asst Papa Giovanni XXIII, Maria Beatrice Stasi, spiega: «L’ospedale è in grado di aumentare i posti letto Covid in tempi brevissimi, 24 ore. Alla richiesta della centrale operativa regionale rispondiamo puntualmente con la modulazione dell’attività Covid grazie anche a un’esperienza dolorosamente maturata sin dalla prima fase della pandemia, con uno sforzo straordinario da parte di tutto il personale. Ma è necessario salvaguardare il ruolo di ospedale hub per il Covid e per tutte le patologie tempo-dipendenti, per le quali il fattore tempo è determinante per la vita del paziente: infarti, ictus, interventi urgenti di neurochirurgia, cardiochirurgia, chirurgia vascolare e traumi dell’età adulta e pediatrica. Settori di intervento che, come previsto dalla Regione, sono in capo al “Papa Giovanni”».

Pezzoli: disagio tra i pazienti

«Ad oggi - spiega il direttore sanitario dell’Asst Papa Giovanni, Fabio Pezzoli - la pressione Covid ci ha fatto mediamente ridurre l’attività del 60 per cento. Questo significa che molti pazienti si sono visti rimandare i loro interventi, sebbene si stia cercando di preservare la patologia oncologica per dare risposte all’utenza, non solo bergamasca. I tempi di attesa per sottoporsi agli interventi si sono allungati, anche perché paghiamo le riduzioni già introdotte lo scorso anno per far fronte alle altre due ondate. In media arrivano 12 pazienti Covid al giorno da Brescia, Mantova e Varese, e tutti i giorni ricoveriamo anche pazienti bergamaschi, in media 6-7. Ogni giorno sono quindi una ventina i pazienti Covid che ricoveriamo a fronte però di un numero maggiore di dimissioni dai letti ordinari. Ma in Terapia intensiva l’andamento è diverso. Abbiamo 44 posti letto occupati a fronte dei 52 che richiede la Regione e che, in caso dell’attivazione del livello 4 B, ci obbligherebbe a ridurre ulteriormente l’attività della sala operatoria. Le liste di attesa allungate per queste patologie sono un dato di fatto. La prima ondata è stata disastrosa e abbiamo dovuto fronteggiare l’emergenza in ogni modo. Con la seconda ondata abbiamo riprogrammato le attività, ampliato i letti Covid e ridotto l’attività di sala operatoria, mentre con la terza ondata, ancora in corso, viene chiesto di nuovo agli ospedali un grande sforzo per dare priorità ai pazienti Covid, garantendo in ogni caso il massimo impegno negli altri settori di intervento non legati al Covid. Purtroppo dobbiamo tirare il freno, la coperta è corta: molti pazienti si lamentano per gli interventi procrastinati e siamo noi che ci mettiamo la faccia. Comprendo il disagio dei pazienti, ma noi stiamo già facendo l’impossibile».

Lucianetti: i tumori vanno curati

La riduzione delle attività tuttavia preoccupa chi si interfaccia in prima linea con i pazienti. Alessandro Lucianetti, direttore della Chirurgia I dell’ospedale Papa Giovanni, evidenzia: «Le liste di attesa allungate stanno creando problemi, e per un paziente oncologico il fattore tempo è dirimente. Molti ci chiedono quando verranno sottoposti all’intervento e abbiamo contezza di utenti che, con la dilatazione dei tempi, si sono rivolti ad altre strutture, dove le liste di attesa sono ridotte. Strutture in cui si può accedere a un intervento anche entro una settimana. Le direttive regionali devono essere osservate da tutti, senza disparità nelle tempistiche. I tumori non vanno in vacanza e vanno curati».

Fenaroli: pazienti da tutelare

Il riferimento è, ovviamente, alle strutture private, che - stando anche ad alcune testimonianze riportate dagli stessi pazienti - avrebbero comunque mantenuto sostanzialmente intatta l’attività di sala operatoria riservata ai solventi, garantendo operazioni in tempi rapidi.

Privato Fenaroli, direttore della Chirurgia Generale II-Senologica, non usa giri di parole: «La situazione è intollerabile. Sono a conoscenza di persone che hanno acceso un mutuo di 30 mila euro per farsi ricoverare altrove a causa dei tempi prolungati delle liste di attesa. La patologia oncologica al seno ha un impatto sociale micidiale, nel senso che il coinvolgimento psicologico del paziente è più devastante della malattia. Il malato vuole certezze e noi non possiamo dargliele con questo modello organizzativo, nonostante il nostro impegno totale per recepire le direttive. La direzione sanitaria del Papa Giovanni sta facendo i miracoli per salvaguardare l’attività, siamo in trincea ma con una potenzialità ridotta del 50% l’utenza è penalizzata. La Regione offre margini di discrezionalità alle strutture pubbliche e private per ridurre le attività, ma servono controlli e proporzionalità nelle riduzioni. Ci sono tre fasce prioritarie: tumori da operare entro 30 giorni, 60 giorni e 90 giorni. I tempi ora sono raddoppiati e siamo in balia del Covid, quasi un paradosso: se ce l’hai, vieni curato subito. Ma i tumori non aspettano».

Da Pozzo: torneremo a correre

Luigi Filippo Da Pozzo, direttore dell’Urologia e del Dipartimento di Chirurgia del Papa Giovanni, lancia un messaggio: «Le disposizioni regionali non possono essere disattese, siamo in emergenza. Purtroppo anche nel campo urologico e chirurgico i reparti sono sempre affollati e i pazienti, non a torto, chiedono quando sarà il loro turno. Non esistono solo patologie oncologiche, ma anche tante altre malattie fastidiose che hanno un impatto importante sulla qualità di vita e meritano di essere risolte. In Urologia siamo arrivati al 50% di riduzione delle attività. Tuttavia vogliamo tranquillizzare l’utenza: appena potremo, ricominceremo a correre. Le reti oncologiche di riferimento non possono assorbire tutto. Auspichiamo di continuare a essere un grande ospedale di eccellenza».

© RIPRODUZIONE RISERVATA