Rizzi: «Trasmissione altissima, sintomi lievi. Ma il picco potrebbe essere vicino»

«I vaccini e la giovane età spiegano la bassa virulenza, ma i non vaccinati in terapia intensiva hanno la polmonite come nel 2020. Il mio reparto è un po’ in rincorsa, ma i numeri non sono comparabili con il passato. Quarantena da rivedere rapidamente».

Più contagiosa, questo è certo. Altamente più contagiosa. Ma anche meno aggressiva, dal punto di vista della virulenza. Di Omicron si sa ogni giorno qualcosa in più, e accanto alla preoccupazione per l’impennata dei contagi sembrano maturare nuove certezze sugli effetti clinici più contenuti. Tra chi è «morso» dalla nuova variante, ed è la notizia confortante, i sintomi paiono più lievi: tosse, raffreddore, più raramente la febbre. La vecchia polmonite, tra i vaccinati, sembra scomparsa. Su questo incide certo anche la più giovane età dei positivi e la protezione del vaccino, ma la fotografia dei numeri ribadisce che i ricoverati – tra l’altro in larga parte non vaccinati – crescono ma più lentamente dei nuovi positivi. Omicron sembra così «un po’ diversa» dalle precedenti mutazioni, premette Marco Rizzi, direttore del reparto di Malattie infettive al «Papa Giovanni» di Bergamo.

Dottore, quali sono le differenze?

«Bisogna partire comunque dal fatto che è diversa la situazione epidemiologica. Rispetto all’inizio della pandemia, oggi le infezioni si riscontrano soprattutto in persone più giovani. Un’altra parte è rappresentata dai vaccinati: i vaccinati e i giovani danno così un quadro dalle sintomatologie molto modeste, infezioni spesso asintomatiche».

Chi è contagiato da Omicron, quali sintomi presenta?

«Spesso i positivi attraversano una fase di sintomi respiratori lievi, un quadro da raffreddore. Non ci sono i sintomi più importanti, il profilo mediamente sembra diverso. Anche perché ragioniamo su una popolazione diversa, in larga parte immunizzata».

In chi non è vaccinato, invece, qual è il quadro?

«Soprattutto in terapia intensiva abbiamo pazienti non vaccinati, che hanno ancora la polmonite come accadeva nel 2020. La differenza sta nella vaccinazione: in questa popolazione immunizzata le infezioni sono senza sintomi o modesti, poca febbre e raffreddamento, e vediamo molti meno casi di compromissione dell’olfatto».

Quanto durano questi sintomi?

«Le persone hanno ora sintomi per pochi giorni. Anche nella prima ondata in realtà poteva accadere che qualcuno affrontasse l’infezione con sintomi respiratori solo di qualche giorno, ma nel disastro di quei giorni emergeva molto meno. Ora il quadro, anche per la diversa situazione epidemiologica, è certo diversa. Tra l’altro, l’alta contagiosità nelle persone vaccinate dura pochi giorni».

Sulla maggior contagiosità rispetto alle varianti precedenti, ci sono pochi dubbi.

«Si trasmette in maniera più elevata: questa circolazione così alta ci fa però pensare che il picco non sia distante. Se i numeri dei contagi crescono velocemente, quelli dei ricoveri si alzano però più lentamente».

Qual è la situazione del suo reparto?

«Siamo un po’ in ricorsa. Il reparto di Malattie infettive è ormai dedicato al 90% ai pazienti Covid; sono stati aumentati i posti in terapia intensiva e si è creato un altro spazio di degenza all’interno dell’ospedale. I numeri dei ricoverati crescono da diverse settimane, non solo nel nostro ospedale. Come infettivologi abbiamo avuto una call regionale per condividere alcune idee».

E rispetto a un anno fa, com’è la situazione?

«Sicuramente i numeri non sono comparabili col passato: oggi i pazienti Covid in Bergamasca sono solo nelle tre Asst (oltre al “Papa Giovanni” sono in campo anche la Bergamo Est e la Bergamo Ovest, ndr) e si riesce a gestire anche l’attività ordinaria. Nelle fasi più impegnative delle precedenti ondate, invece, avevamo tutte le strutture sanitarie, pubbliche e private, concentrate sul Covid».

Si discute sulla revisione della quarantena, con minori restrizioni per i vaccinati. Qual è il suo parere?

«Credo che a questa riduzione si debba arrivare rapidamente: le restrizioni rigide e protratte servono a poco, soprattutto sulla persona vaccinata che viene trovata positiva solo casualmente. La contagiosità è appunto limitata a pochi giorni. C’è poi una questione di sostenibilità per i lavoratori delle attività essenziali, dai trasporti alla sanità. Con restrizioni troppo rigide si rischia di creare un grosso danno, e a questo non corrisponde un grande beneficio: chi è asintomatico probabilmente non costituisce un grande problema. È opportuno che il contact tracing si concentri sui sintomatici non vaccinati. Il chiarimento su quarantena e tamponi sarebbe importante: l’aumento di restrizioni non è sostenibile e non è utile».

A Bergamo si rilancia l’allarme smog. Dopo due anni di pandemia, la scienza ha individuato o smentito una correlazione tra inquinamento e virus?

«Sono stati trovati alcuni elementi a supporto, ma il contributo dello smog nella pandemia pare marginale. L’andamento della pandemia l’abbiamo visto più legato alle misure di contenimento e alle restrizioni, alla frequentazione di ambienti affollati: questo è ciò che fa la differenza».

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