«Scampato alle torture, qui sono rinato: grazie Bergamo»

La testimonianza. Serhii, catturato dai russi, dopo mesi di prigionia è fuggito dall’Ucraina. Nella nostra città ha trovato accoglienza insieme alla moglie

«Mi piace vivere in Italia e vi ringrazio molto per l’accoglienza». Una frase che detta da chi ha provato sulla sua pelle gli effetti più disumani della guerra assume un significato enorme. A parlare è Serhii Maslov, cinquantenne ucraino che venerdì pomeriggio, 24 febbraio, era al sit-in organizzato in piazza Pontida dal movimento «Liberi oltre le illusioni» di Bergamo, con il supporto dell’associazione Zlaghoda, a cui hanno partecipato una settantina di persone.

Serhii vive in città, in un appartamento di via Baschenis, messo a disposizione dalla banca del cui gruppo fa parte la filiale ucraina per la quale faceva il direttore. Ora è riuscito a riunirsi alla moglie Nataliia e alla figlia di 30 anni, ma prima di arrivare qui ha vissuto sulla sua pelle l’inferno della guerra. «Quando è iniziata – racconta – abitavo in un villaggio nella regione di Kharkiv, sin dal primo giorno eravamo sotto occupazione russa e venivamo continuamente controllati, compresi i nostri cellulari». A maggio la moglie e la figlia riescono a scappare in auto, passando dalla Russia per poi attraversare Paesi baltici e Polonia fino ad arrivare in una settimana nella nostra città. Serhii, invece, è rimasto nel villaggio e il 10 giugno è stato catturato dai russi. «Mi hanno messo nei sotterranei (le “camere delle torture”), legandomi mani e piedi e torturandomi anche con l’elettricità, senza darmi da mangiare e da bere: sono rimasto lì 8 giorni». E purtroppo era solo l’inizio di un lungo e devastante periodo di estrema sofferenza. «Mi hanno spostato in un altro sotterraneo. Le persone venivano portate via e non tornavano più. Non ci davano da mangiare, avevo tanta fame. Per i miei familiari risultavo scomparso».

Resta in quel sotterraneo per circa 90 giorni, fino al 9 settembre, quando viene rilasciato dai russi, molto probabilmente perché si stavano ritirando per l’avanzata dell’esercito ucraino. «Il giorno dopo ho visto dei mezzi umanitari e sono riuscito a salire su un’auto ma ero senza documenti, perché i russi non me li avevano ridati. Ho attraversato il confine russo dai campi e sono arrivato nella città di Belgorod, dove c’era una dogana: ho detto che la mia casa era stata bombardata ma dovevo passare per i campi di infiltrazione e sono scappato». Ha raggiunto alcuni parenti a Mosca che l’hanno aiutato ad attraversare il confine con la Bielorussia. «Mi sono fatto rifare i documenti al consolato e il 26 settembre sono arrivato a Bergamo».

Con lui venerdì 24 febbraio al sit-in c’era la moglie Nataliia. «I primi due mesi di guerra – ha raccontato – ho dormito su un materasso in corridoio per proteggermi dai bombardamenti e tenevo sempre addosso il necessario per fuggire. Mia suocera era in una casa di cura, è deceduta dopo un ictus e siamo riusciti a seppellirla solo dopo un mese». Al sit-in ha partecipato anche Olga Golovchak, vicepresidente dell’associazione Zlaghoda. «Ad un anno dell’invasione russa in Ucraina sentiamo grande dolore, paura ma anche speranza per la vittoria dell’Ucraina. Ringraziamo i bergamaschi, senza il loro aiuto non ce l’avremmo fatta». Domani alle 15 si terrà un’altra manifestazione in piazzale Marconi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA