Schiaffo col cellulare in mano. È un’arma impropria: dieci mesi

LITE TRA EX. Sette giorni di prognosi per una contusione alla tempia dopo uno schiaffo.

Ma la lesione era stata provocata dall’impatto con il telefonino che l’imputato impugnava durante una lite esplosa nell’abitazione dei due in città. Il cellulare è stato ritenuto dal giudice Alberto Longobardi un’arma impropria e questo è costato 10 mesi e 20 giorni di condanna per lesioni volontarie aggravate a un 35enne di origini marocchine, che a ottobre aveva rimediato una condanna in primo grado a 4 anni e 8 mesi per maltrattamenti nei confronti dell’ex moglie (ora la sentenza pende in Appello).

L’episodio contestato nell’ultimo processo è accaduto il 10 giugno del 2023, mentre l’uomo era sotto processo per maltrattamenti. Era stata la stessa ex moglie a chiedere che l’ex potesse riavvicinarsi, perché la donna aveva bisogno di aiuto per gestire le due figlie piccole. Ed è per il medesimo motivo che lei ha ritirato la denuncia che vedeva l’uomo imputato di violenza privata e lesioni volontarie aggravate.

Il 35enne è attualmente sottoposto al divieto di avvicinamento alla ex.I due in aula si sono mostrati molto cordiali l’uno con l’altro. «Un gesto d’amore – ha commentato durante l’arringa l’avvocato Federico Pedersoli –. Comunque vada il processo, oggi ne usciranno entrambi migliori di prima». Il primo reato, mancando la querela, è andato estinto e per questo è stato assolto. Per le lesioni la battaglia s’è giocata sull’aggravante: fosse venuta meno, l’imputato sarebbe stato assolto perché anche questo reato si sarebbe estinto. L’accusa, che aveva chiesto una condanna a 4 mesi, ha sostenuto che l’aggravante sussiste, giudicando attendibile la versione dell’ex moglie, che aveva raccontato di essere stata colpita volontariamente col telefonino.

Per il difensore l’aggravante dell’arma impropria non può essere contestata, perché se il 35enne avesse voluto colpire volontariamente con il telefonino la prognosi sarebbe stata ben più grave di sette giorni. Il legale, invocando l’assoluzione, ha sostenuto l’insussistenza del dolo: si sarebbe trattato di un colpo involontario durante le fasi concitate della lite, con lui intenzionato solo ad allontanare lei. L’episodio ha come movente attriti per la gelosia covata dall’uomo. È la stessa scintilla che sta alla base del maltrattamenti tra il novembre 2021 e il 15 maggio 2022 per i quali ha rimediato la condanna a 4 anni e 8 mesi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA